Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe.
Per una drammatizzazione di Cenerentola.

Quanto segue è un riassunto/scheda tratta dal noto saggio di Bruno Bettelheim su Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe (ed. Feltrinelli).
La scheda è stata utilizzata in una classe seconda del Liceo delle scienze sociali nell’anno scolastico 2002/3 Nella classe vi era una ragazza con sindrome di Down. Il fatto di leggere la fiaba di Cenerentola e la lettura psicanalitica della stessa hanno permesso con estrema facilità di raggiungere una conoscenza delle tematiche implicate che riflettesse le diverse abilità degli studenti.
La chiave di lettura psicanalitica ha reso possibile in una classe seconda una “ricostruzione” del pensiero di Freud funzionale alla comprensione del testo di Bettelheim. Oltre che sul piano delle conoscenze, l’attività svolta ha raggiunto obiettivi significativi sul piano relazionale. Grazie alla drammatizzazione teatrale della fiaba di Cenerentola (peraltro messa in scena nella scuola materna dove la studentessa svolgeva quotidianamente un’attività di collaborazione con le maestre) si è avuto un importante coinvolgimento di tutta la classe con la ragazza down che, interpretando proprio il ruolo di Cenerentola ha, per così dire, elaborato la propria situazione in un finale che, come nelle fiabe, si è svolto con un lieto fine: le dinamiche di gruppo si sono, per così dire, ricomposte e rese più attente alla presenza di una diversità manifestatasi come una ricchezza.

Introduzione

Oggi, come in passato, il compito più importante e anche il più difficile che si pone a chi alleva un bambino è quello di aiutarlo a trovare un significato nella vita. Per arrivare a questo sono necessarie molte esperienze di crescita. Per quanto riguarda questo compito, nulla è più importante dell’impatto dei genitori e di altre persone che si prendono cura del bambino. Secondo per importanza viene il nostro retaggio culturale, quando viene trasmesso al bambino nel modo giusto. Quando i bambini sono piccoli è la letteratura che trasmette nel miglior modo questa mole di informazioni. Perché una storia riesca realmente a catturare l’attenzione del bambino, deve divertirlo e suscitare la sua curiosità. Ma per poter arricchire la vita deve stimolare la sua immaginazione, aiutarlo a sviluppare il suo intelletto e chiarire le sue emozioni, armonizzarsi con le sue ansie e aspirazioni, riconoscere appieno le sue difficoltà, e nel contempo suggerire soluzioni ai problemi che lo turbano. Schiller scrisse: “C’è un significato più profondo nelle fiabe che mi furono narrate nella mia infanzia che nella verità qual è insegnata dalla vita”.
Attraverso i secoli –durante successive rielaborazioni- le fiabe diventarono sempre più raffinate e finirono per trasmettere significati palesi e velati. Applicando il modello psicanalitico dela personalità umana, le fiabe recano importanti messaggi alla mente conscia, preconscia e subconscia, a qualunque livello sia funzionante in quel dato momento. Queste storie si occupano di problemi umani universali, soprattutto di quelli che preoccupano la mente del bambino e quindi parlano al suo in boccio e ne incoraggiano lo sviluppo, placando nel contempo pressioni preconosce e inconsce. Per poter risolvere i problemi psicologici del processo di crescita –superando delusioni narcisistiche, dilemmi edipici, rivalità fraterne, riuscendo ad abbandonare dipendenze infantili, conseguendo il senso della propria individualità e valore, e quello di dovere morale- un bambino deve comprendere quanto avviene nella sua individualità cosciente in modo da poter affrontare anche quello che avviene nel suo inconscio. Egli può giungere a questa conoscenza familiarizzando con il suo inconscio , intessendo sogni ad occhi aperti, meditando, rielaborando e fantasticando intorno ad adeguati elementi narrativi in risposta a pressioni inconsce. Così facendo, il bambino adegua un contenuto inconscio a fantasie consce, che poi gli permettono di prendere in considerazione tale contenuto. E’ qui che le fiabe hanno un valore senza pari: offrono nuove dimensioni all’immaginazione del bambino, dimensioni che egli sarebbe nell’impossibilità di scoprire se fosse lasciato completamente a se stesso.

Fiaba e mito

I pensatori moderni che hanno studiato i miti e le fiabe da un punto di vista filosofico o psicologico riconoscono queste storie come modelli per il comportamento umano che, per questo fatto, danno significato e valore alla vita. Tracciando paralleli antropologici –Eliade e altri- suggeriscono che miti e fiabe derivarono da – o espressero simbolicamente- riti di iniziazione o altri rites de passage – come la morte metaforica di un’individualità vecchia e inadeguata che serve a farla rinascere in un piano inferiore d’esistenza. A suo avviso è per questo che le fiabe soddisfano una necessità fortemente avvertita e sono latrici di un significato profondo.

Cenerentola

Cenerentola è una novella antichissima. Quando comparve in forma scritta in Cina attorno al nono secolo a.C. aveva già una storia. L’impareggiabile piccolezza del piede come segno di straordinaria virtù, distinzione e bellezza, la pantofola fatta di materiale prezioso indicano un’origine orientale, anche se non necessariamente cinese.
            Cenerentola viene recepita come una storia delle angosce e delle speranze che costituiscono l’essenza della rivalità fraterna: una storia che parla di un’eroina che ha la meglio sulle sorellastre da cui ricevette angherie e umiliazioni. L’espressione “vivere in mezzo alla cenere” indicava una condizione di inferiorità in rapporto ai propri fratelli e sorelle, indipendentemente dal sesso
La fiaba sostituisce ai rapporti tra fratelli e sorelle rapporti tra fratellastri o sorellastre: forse un espediente per spiegare e rendere accettabile un’animosità che non si vorrebbe che esistesse tra fratelli autentici
            Le varie versioni di Cenerentola rendono meglio di qualsiasi altra fiaba le esperienze interiori del bambino piccolo alle prese con la rivalità fraterna, col suo senso di essere irrimediabilmente sopravanzato dai suoi fratelli e sorelle. Cenerentola viene umiliata e avvilita dalle sue sorellastre, i suoi interessi sono sacrificati ai loro dalla matrigna (o madre). Si pretende da lei che compia il lavoro più sporco, e benché lo faccia bene, non le viene attribuito alcun merito. Anzi, aumentano le pretese nei suoi confronti. E’ così che il bambino si sente quando patisce i tormenti della rivalità fraterna.
            Per quanto possano sembrare esagerate all’adulto le tribolazioni e le umiliazioni di Cenerentola, il bambino angosciato dalla rivalità fraterna pensa inconsciamente: “Cenerentola sono io. E’ così che mi maltrattano, o vorrebbero maltrattarmi; è così che mi disprezzano”. E in certi momenti il bambino prova questi sentimenti anche quando la sua posizione in mezzo ai fratelli può sembrare che non giustifichi questo atteggiamento.
            Quando un storia corrisponde ai sentimenti profondi del bambino assume per lui una qualità emotiva che ha il sapore della verità. Gli eventi di Cenerentola gli offrono vivide immagini che danno corpo alle sue imperiose (anche se spesso vaghe e imprecise) emozioni. Quindi questi episodi gli sembrano più convincenti delle sue stesse esperienze di vita. Anche se il bambino sa di non essere trattato male come Cenerentola, spesso il bambino si sente maltrattato: è per questo che crede nella verità intrinseca di Cenerentola e giunge poi a credere alla liberazione e alla vittoria finale dell’eroina. Dal suo trionfo trae esagerate speranze nel proprio futuro, speranze a lui necessarie per vincere l’estrema angoscia che l’assale quando è travagliato dalla rivalità fraterna.
            Nonostante il termine “rivalità fraterna”, questa triste passione ha soltanto incidentalmente a che vedere con i veri fratelli e sorelle di un bambino. Essa tra la sua vera origine dai sentimenti del bambino nei confronti dei genitori. Il fatto che sia dedicata una speciale attenzione a un latro bambino diventa un’offesa soltanto se un bambino teme, per quanto lo riguarda, di essere tenuto in scarso conto dei genitori, o se si sente respinto da loro. E’ a causa di quest’ansia che uno dei soui fratelli e sorelle possono diventare per lui una spina nel fianco. Il timore di non poter conquistare l’amore e la stima dei suoi genitori in concorrenza coi fratelli è ciò che accende la rivalità.
            Dire a un bambino ossessionato dalla rivalità fraterna che da grande si rivelerà bravo come i suoi fratelli e sorelle non gli offre un grande sollievo dalla sua attuale condizione di abbattimento. Un bambino può vedere le cose soltanto con occhi soggettivi e non confida che un girono, da solo, sarà capace di cavarsela bene come loro. Se fosse in grado di credere maggiormente in se stesso, non si sentirebbe distrutto dai suoi fratelli qualsiasi cosa essi potessero fargli, poiché allora potrebbe sperare in un futuro rovesciamento delle sorti. Ma dato che il bambino non può da solo prefigurarsi con fiducia un giorno futuro in cui tutto si appianerà per lui, può ottenere sollievo solo mediante fantasie di gloria – una dominazione sui suoi fratelli –che egli spera si avverino in seguito a un qualche fortunato evento.
            In superficie Cenerentola è ingannevolmente semplice come la storia di Cappuccetto Rosso. C’è un contrasto fra la superficiale semplicità e la sua sostanziale complessità. Per comprendere questi significati nascosti occorre estendere la ricerca oltre le ovvie fonti di rivalità fraterna finora considerate. Molti bambini credono che Cenerentola probabilmente si meriti il suo destino al principio della storia, poiché pensano che anche loro se la meriterebbero; ma non vogliono che nessuno lo sappia. Nonostante ciò, alla fine merita di essere esaltata e il bambino spera di ottenere la stessa ricompensa, a dispetto delle sue pecche di un tempo.
            Ogni bambino crede a un certo punto della vita – e non soltanto in rari momenti – di meritarsi per i suoi desideri segreti, se non anche per le sue azioni clandestine, di essere umiliato, bandito dalla presenza altrui, relegato in inferni fuligginosi. Detesta e teme le altre persone –come i suoi fratelli –che considera completamente prive di una malvagità che invece sente in sé, e teme che loro o i suoi genitori scoprano come egli è in realtà, e quindi gli riservino il trattamento umiliante che Cenerentola subì dalla sua famiglia. Egli vuole che gli altri –e soprattutto i suoi genitori – credano alla sua innocenza, e quindi è lieto che chiunque creda a quella di Cenerentola.
Nei bambini l’immedesimazione con Cenerentola copre diverse flessioni: una bambina può “ribellarsi” ad un comando con i genitori dicendo “perché mi tratti come Cenerentola”? e, magari in un momento successivo, esprimere un sentimento di superiorità: “Non dovreste essere gelose di me solo perché sono la più bella della famiglia”. Ciò mostra che dietro la superficiale umiltà di Cenerentola si cela la convinzione della sua superiorità nei confronti  della madre e della sorella, come se pensasse: “Potete farmi fare tutto il lavoro sporco e fingere che sia sporca, ma dentro di me so che mi trattate cos’ perché siete gelose di me dato che sono tanto migliore di voi”. Questa convinzione è suffragata dal fatto che alla fine ogni Cenerentola sarà scoperta dal suo principe.
Perché il bambino crede nel suo intimo che Cenerentola si meriti di essere tenuta in sottordine? Questo interrogativo ci riconduce allo stato d’animo del bambino al termine del periodo edipico. Prima di conoscere i coinvolgimenti edipici, il bambino è convinto di essere amabile, e amato, se c’è armonia nei rapporti all’interno della sua famiglia. La psicanalisi descrive questo stadio di completa soddisfazione di sé col termine “narcisismo primario”. Durante questo periodo il bambino si sente certo di essere il centro dell’universo, e quindi non c’è motivo di essere geloso di qualcuno.
Le delusioni edipiche che sopravvengono alla fine di questo stadio di sviluppo gettano pesanti ombre di dubbio sul senso che il bambino ha del proprio valore. Egli  sente che se fosse davvero così degno di amore come aveva pensato, i suoi genitori non lo criticherebbero e non lo deluderebbero mai. L’unica spiegazione delle critiche parentali a cui il bambino riesca a pensare è che ci sia in lui qualche grave colpa tale da giustificare quanto egli percepisce come un ripudio. Se i suoi desideri rimangono insoddisfatti e i suoi genitori lo deludono, deve esserci qualcosa che non va in lui o nei suoi desideri, o in entrambi. Nella sua gelosia edipica, dopo aver desiderato di sbarazzarsi del genitore di sesso opposto, il bambino si rende conto che il suo desiderio era ingiusto.
Alla fine del periodo edipico, il senso di colpa per i desideri di essere sporco e trasandato diventa una componente del senso di colpa edipico, a motivo del desiderio del bambino di soppiantare il genitore dello stesso sesso nell’amore dell’altro genitore: ciò fa sì che il bambino s’identifichi con Cenerentola, che è relegata nel suo cantuccio con la cenere.
Anche la bambina alla fine del periodo edipico si sente scacciata, lasciata sola. Poi torna alla madre con cui si identifica. Il focolare, il centro della casa, è un simbolo della madre. Vivere così vicino ad esso tanto da dimorare in mezzo alla cenere può quindi simboleggiare un tentativo di rimanere attaccata, o di fare ritorno, alla madre e a quanto essa rappresenta.
Nella fiaba di Perrault è Cenerentola a scegliere di dormire in mezzo alla cenere: “Quando aveva compiuto il suo lavoro, andava nell’angolo del focolare e si sedeva in mezzo alla cenere”: ecco l’origine del suo nome. Nella novella dei fratelli Grimm non c’è questo autosvilimento; nella loro versione, Cenerentola era obbligata ad andare a dormire in mezzo alla cenere.

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