la menopausa nelle varie culture
La menopausa: una prospettiva antropologica
Lo studio delle rappresentazioni della menopausa attraverso le
diverse culture mette in evidenza una grande varietà di costruzioni
sociali intorno a questo fenomeno biologico: è possibile distinguere
alcune società in cui la menopausa viene vissuta bene e valorizzata
socialmente, altre in cui non viene accompagnata da cambiamenti di
rilievo, altre ancora in cui la condizione della donna in menopausa è
molto svantaggiata.
Ad un estremo si collocano gli indiani Moavi (studiati
dall’etno-psicanalista Georges Devereux), per i quali la menopausa non
sarebbe considerata un periodo traumatico, segnato da tensioni
psicologiche o comportamento diverso. La vita sessuale delle donne moave
non si ferma alla menopausa. La donna in menopausa diviene un
personaggio importante della struttura informale della tribù,
depositaria del sapere, di saggi consigli, di benevolenza materna.
Tra i Maya la menopausa è gradita: le donne non presentano sintomi
particolari, né particolari problemi psicologici o fisiologici; non
hanno vampate di calore.
Tra gli indiani Iroqui la menopausa comporta un ruolo sociale
particolarmente favorevole in cui le donne più anziane detengono un
potere politico importante.
All’altro estremo, nella tribù dei Gisu in Uganda, la donna che non
ha avuto figli perde ogni valore sociale quando interviene la menopausa,
può esser rifiutata e suicidarsi.
Generalmente in Europa la donna in menopausa è in una condizione di
svantaggio. Secondo Charles Prosper Narcisse de Gardanne, che coniò il
termine menopausa nel 1824, la donna diventa cupa, inquieta e taciturna,
si lamenta continuamente dei piaceri che ormai le sono preclusi per via
dell’età.
La perdita di valore sociale della donna in menopausa è dovuta in
parte all’eredità della rappresentazione basata sulla logica degli umori
per cui la donna diventa “velenosa” (negli scritti di medicina dal
medioevo fino al XIX secolo ritroviamo la nozione di sangue mestruale
come un veleno pericoloso costituito da ‘umori acri e corrosivi’).
In sintesi esiste una grande varietà di rappresentazioni della donna
in menopausa nelle varie culture, e questo ci può mettere in guardia
contro la tentazione di attribuire a questo fenomeno biologico elementi
che dipendono da elaborazioni culturali.
Le rappresentazioni della menopausa sono un buon riflesso della
condizione femminile in una determinata società, della possibilità che
viene lasciata alla donna di esistere socialmente al di là della sua
funzione riproduttiva, del suo grado di autonomia e della sua condizione
di soggetto.
La menopausa nella storia
'
Le donne sono rappresentate prima di essere descritte, molto prima che
parlino esse stesse'. Questa frase, che compare all’inizio della
monumentale 'Storia delle donne' (Ed. Laterza, Bari 1990) , precisamente
nel primo volume, redatto da Georges Duby e Michelle Pierrot, mi era
rimasta impressa per sintesi ed efficacia. Mi ricordava essenzialmente
due cose: che la vista, quindi l’immagine, è il primo mezzo di
apprendimento della realtà; che le donne hanno dovuto faticare tanto per
diventare soggetti della storia dell’umanità. Nel tracciare quindi il
profilo storico del ruolo delle donne non più fertili mi è parso che
nulla potesse risultare più diretto che seguirne l’immagine o,
soprattutto nelle epoche più remote, interpretarne l’assenza. Agli
albori della storia dell’umanità, anzi prima ancora, in quella che
usiamo chiamare preistoria, la figura femminile è presente in forme
connesse alla fertilità. I primi 'artisti' erano capaci di una certa
dose di astrazione e simbolismo, rappresentando talora una parte per il
tutto ovvero solo i contorni di una figura, ovvero ancora esaltando
tratti riferibili ad una funzione e/o attività: ricordiamo scene di
caccia, tutte abitate da uomini, e le Veneri preistoriche, di varia
provenienza, ma sempre caratterizzate dalla prominenza del ventre, delle
natiche e delle mammelle. La funzione, per l’appunto, la capacità
riproduttiva, riassumeva l’identità femminile e quindi la sua stessa
immagine. Di particolare effetto evocativo è il piccolo idolo femminile
ritrovato negli scavi di Gonur ( oltre 2000 a.C.), nell’attuale
Turkmenistan: la parte superiore della statuetta conferisce già al seno
una netta prevalenza sull’abbozzo di braccia, più elemento di equilibrio
figurativo che rappresentazione realistica, ma è nella metà inferiore
che si realizza a pieno il significato simbolico dell’immagine, priva di
arti e chiaramente ispirata alla forma dell’utero, sottolineata dal
tratteggiato del 'triangolo di Venere' . In altre regioni, nel contesto
di civiltà diverse, è sempre e comunque la fertilità, la maternità, a
determinare l’immagine sublimata del femminile. La mesopotamica Ishtar
costituisce quasi una eccezione: era l’unica dea autonoma di quel
Pantheon, mentre le altre lo erano solo in quanto mogli di dei, ma
anch’essa, pure rappresentata di solito armata ed accompagnata da un
leone, presiedeva all’ impulso erotico, essenziale per la riproduzione.
Decisamente più immediato il legame dell’egizia Iside con il ruolo
femminile del tempo: sposa di Osiride e madre di Horus, risusciterà il
primo, ucciso da Seth , agganciandosi quindi al processo di rinnovamento
costante della vita che si manifesta con la crescita annua delle messi.
Nella Grecia classica Era,moglie di Zeus (diventerà a Roma Giunone,
moglie di Giove), impersona la condizione matrimoniale della donna: sono
infatti le nozze con Zeus a renderla 'perfetta' (Teléia) , fedele e
gelosa, tanto da perseguitare le numerose amanti del coniuge divino; era
anche 'casta', dal momento che riacquistava la verginità ogni volta che
si bagnava nella sorgente Canato ed il mito le attribuisce la maternità
virginale (partenogenetica) di Ares ed Efesto, in odio alle infinite
infedeltà coniugali. La transizione al cristianesimo non modifica i
connotati descrittivi della femminilità, che rimangono ancorati lungo i
secoli ad un canone fisso di maternità celeste, che vede la Madonna con
in braccio il bimbo Gesù o nel pieno del suo trionfo di madre di Dio; la
consapevolezza del ruolo che la attende traspare dallo sguardo e dal
sorriso accennato della Annunziata di Antonello. Tutta la iconografia a
cui abbiamo potuto far riferimento è dunque costellata di donne giovani,
attive, talora perfino guerriere, ma sempre votate al compito
riproduttivo, vuoi in senso fisico, terreno, che metafisico, divino.
Mancano riferimenti alla vita femminile dopo la fase fertile e non è
difficile comprenderne il motivo: la durata della vita è stata tanto
breve per così lungo tempo che la maggior parte delle donne non superava
quel periodo. La gravidanza ed il parto erano anzi essi stessi una
frequente causa di morte: in età imperiale romana, quando la aspettativa
femminile di vita, valutata dalla osteoarcheologia, si attestava sui 35
anni, circa il 10% delle gravidanze si concludevano con la morte della
gestante. Un altro macigno ha gravato sulla immagine della donna nella
storia : la responsabilità primigenia del peccato. L’episodio biblico
(Genesi) della cacciata dal Giardino dell’Eden , attribuendo alla donna
la responsabilità della trasgressione al divino divieto di mangiare il
frutto dell’albero del bene e del male, ha di fatto a lungo relegato il
mondo femminile , raccontato o raffigurato, nella sentina della storia.
Il Medioevo segna l’apoteosi di questa visione negativa della presenza
femminile nella vita terrena. Codici miniati illustrano quanto attivo
sia stato il ruolo della donna nella rovina dell’umanità, tanto da
identificarla senz’altro con il demonio. Cosa poteva rimanere alle donne
per affermare la propria necessaria partecipazione alla vita se non
amplificare al massimo la veste di sposa e di madre? Ricorda Plutarco (
Lic. 27, 2-3) che, nella Sparta di Licurgo, ' sulle tombe era vietato
scrivere i nomi dei defunti, fatta eccezione per quelli degli uomini
morti in guerra e delle donne morte di parto'. Nobile servizio dello
stato, della collettività, nell’uno e nell’altro caso, ma i riferimenti,
gli archetipi possiamo chiamarli oggi, sono diversi: difesa del
territorio e conservazione della stirpe. La sopravvivenza di una
comunità è dipesa certamente dalla capacità di difendersi da
aggressioni, ma anche da come ha saputo utilizzare le risorse
disponibili. I primi nuclei di vita sociale si sono consolidati con lo
sviluppo dell’agricoltura, con la conoscenza dei ritmi naturali che
regolano il raccolto. Ritmi non estranei all’essere femminile, che
sembra anzi riprodurli nella ciclicità della fecondità, nella
coincidenza tra i propri flussi ed il corso della Luna: alle
mestruazioni sono state attribuite le connessioni esistenti tra
fisiologia femminile e segnatempo astrali dei cicli della vita . Natura e
cultura si incrociano ed embricano, tanto che nelle più diverse e
lontane tradizioni emergono miti e leggende comuni: al contatto con le
donne mestruate muiono erbe e germogli, cadono i frutti, inacidiscono i
mosti, annerisce il bronzo, e così via. Meno drammatica appare la
identificazione della donna con la natura (la 'pacha mama') della
civiltà Inca, fiorita nell’attuale Perù tra il XIII ed il XVI secolo: la
donna è una forza (positiva) della natura e, come tale, va onorata e
rispettata, ma tenuta a bada. La rappresentazione della natura non è
mediata in questa civiltà, ma è la natura stessa a descriversi (magari
con qualche piccolo correttivo) e quindi l’immagine femminile non è
necessaria: basta guardarsi attorno per riconoscerla, nelle sorgenti,
nelle messi, nei pascoli. Era stato il grande Aristotele a conferire , o
confermare, proprietà allarmanti alle mestruazioni; a suo dire, lo
sguardo della donna mestruata appannava gli specchi! Il Medioevo visse
nel solco di Aristotele e così Gregorio Magno, nel VI secolo, si
affretta a spiegarci perché questo si verifica: l’occhio, organo
passivo, raccoglie il flusso mestruale, alterando quindi l’aria che
trasmette con questo vapore nocivo. Triste, logica, conseguenza: cessate
le mestruazioni la donna diventa estremamente pericolosa, dal momento
che tutto il nocivo non ha più esito e può essere integralmente
assorbito e trasmesso dallo sguardo. Sempre Aristotele affermava che
l’essenza della vita dipendesse da quanto calore ed umidità il corpo è
in grado di contenere; la vecchiaia non è che un progressivo
raffreddamento di questi umori. Si comprende dunque perché scomparsa dei
flussi e vecchiaia coincidano, escludendo di fatto la donna dal
circuito vitale. Anche la scienza medica, Ippocrate in persona, dice la
sua, convinto che nelle donne anziane prevalga la 'qualità secca' e che
l’utero, divenuto mobile perché leggero e privo di contenuto fluido ,
possa spostarsi all’interno del corpo, provocando persino crisi di
soffocamento (pnix). Insomma a lungo nella storia dell’umanità la
cessazione dei flussi mestruali si è fatta coincidere con la vecchiaia.
Nella Grecia classica, culla del bello e dell’armonia, si lamentava in
aggiunta la perdita di attrattiva: il tramonto della bellezza. Ancora
Ippocrate (430-377 a.c.) precisa che sono tre i caratteri della donna
non più mestruata: deformazione dello scheletro, comparsa di peluria,
soprattutto sulle labbra, e gotta. Non si può dire che non sia stato un
buon medico ed attento osservatore, anche se forse quella gotta era la
più comune artrosi. L’esaurimento della capacità di generare e la
relativa caduta di interesse per la femminilità, accanto alla limitata,
sporadica, sopravvivenza oltre i 40 anni motivano, se non giustificano,
la scarsa attenzione riservata in passato al fenomeno della menopausa e
la identificazione iconografica della vecchiaia con questa fase della
vita. Tutto il Medioevo d’altronde non fa che seguire e sviluppare
Aristotele e , riprendendo quanto quegli aveva detto sulla nocività di
sguardi femminili, ci si convince che lo sguardo delle vecchie trasmette
veleno ai bimbi in culla. Facile immaginare gli sviluppi di tale
credenza! Le donne, del resto, anche attingendo al mito (Dialogo di
Placide e Timeo), risultano titolari di un mitridatismo di genere, sono
cioè insensibili a veleni proprio in quanto donne. Narra questo mito che
un Re dell’oriente, venuto a sapere che in Macedonia cresceva in forza,
bellezza e saggezza un regale fanciullo (il futuro Alessandro Magno),
si accinse ad allevare una bimba, pascendola anche di un potente veleno.
Quando crebbe all’età opportuna, si può presumere attorno ai 10 anni,
ormai avvezza al veleno, la inviò in dono al Re macedone. Alessandro se
ne invaghì ben presto ed ardeva di unirsi a lei quando i suoi maestri
Aristotele e Socrate (licenza del mito!) lo frenarono, invitandolo a
soprassedere ad una piccola prova. Chiamati due giovani nerboruti
guerrieri gli fecero baciare la fanciulla ed i due subito ne morirono.
La fanciulla fu di seguito bruciata ed il pericolo allontanato da
Alessandro. Gli ingredienti per la prima strega ci sono tutti: la donna,
il veleno ed il fuoco purificatore. E’ sempre la paura a generare le
streghe, come la storia ci insegnerà per secoli ed il fuoco continuerà
ad inseguire queste inquietanti figure fin quasi ai giorni nostri. Con
il Rinascimento si riscopre la gioia come giustificativo dell’esistenza,
il piacere di vivere non è più un peccato ma compie ed illumina il
percorso umano. Rifioriscono miti di longevità e rinascita, colti con
sorridente compiacimento da Lucas Cranach nella sua 'Fontana dell’eterna
giovinezza. Ci si avvia all’Evo moderno ed emergono figure femminili di
eccellenza, Regine come Elisabetta d’Inghilterra, nobili eccentriche
come Cristina di Svezia, Sante, Badesse e cortigiane. Tutte libere da
impegno riproduttivo: vergini o presunte tali! Bisognerà ancora
attendere molto prima che l’immagine delle donne, di tutte le donne, non
più fertili ottenga la considerazione del pubblico del tempo e di chi
descrive l’ambiente, la atmosfera, in cui si muovono. E’ solo verso la
fine del XVIII secolo che si attribuisce valenza biologica alla comparsa
di particolari disturbi in corrispondenza della fine dei flussi
mestruali: J. Dejangrois pubblica nel 1781 i 'Conseils aux femmes de
quarante ans', dando l’avvio ad una ampia letteratura sul tema. Il
limite della fertilità, ma a quel tempo ancora quello della vita, sembra
così fissato a 40 anni. Cinquanta anni dopo, nel 1821, compare ' De la
ménopause, ou de l’âge critique de femmes » per la penna di G.P. de La
Gardanne: é la prima citazione del termine menopausa, che ricorrerà di
seguito nel fiorire di una letteratura descrittiva, in cui i limiti tra
immaginazione e scienza risultano alquanto nebbiosi. Nel XVIII secolo
d’altronde era andata maturando una sensibilità nuova ai problemi
sociali, le istituzioni tradizionali venivano messe in discussione, le
plebi assumevano identità collettiva e rilievo individuale. Ne è
testimone Giacomo Ceruti da Brescia , detto il Pitocchetto : la
desolante maternità è rappresentata come sintesi di pietas e
disfacimento della identità personale; i bimbi si aggrappano, ma non
ricevono alcuna luce dallo sguardo, che non è né tenero né amaro,
semplicemente assente; il marito volge le spalle ad una scena che non lo
riguarda, mentre sembra allontanarsi con naturale indifferenza. In
perfetta analogia la anziana donna, dall’età indefinibile ma sicuramente
oltre la fertilità, si connota per i segni del lavoro, dai solchi
profondi delle rughe alle mani gonfie con le dita distorte, al gozzo
evidente che ne deforma il collo; esprime mitezza e rassegnazione, non
ha nulla di stregato o di magico, è un pezzo di umanità senza genere.
Mentre il XIX secolo rielabora le precedenti osservazioni e le
arricchisce di annotazioni, le classifica ed interpreta secondo il
mutare delle opinioni scientifiche, ma in sostanza non apporta granché
di nuovo alla immagine della donna anziana, presenza costante di un
mondo asserragliato tra le mura domestiche, è con il XX secolo che
esplodono le grandi rivoluzioni , interrotte o forse sospinte dai due
grandi conflitti mondiali. Potremmo citare la rivoluzione scientifica,
come la industriale od altre ancora, ma quelle che riguardano più da
vicino la storia delle donne sono la rivoluzione demografica e la
sessuale. La popolazione mondiale è stata descritta graficamente come
una piramide: alla base i nuovi nati ed all’apice i sopravviventi in età
avanzata. Negli ultimi decenni del XX secolo la piramide si è
scomposta, allargandosi al centro e riducendo la base. Nel 2002 una
proiezione statistica, basata sui dati di natalità e mortalità, indicava
nel 2010 la data probabile di questa scomposizione. La realtà ha
viaggiato più in fretta e nuove stime indicano nel 2050 la prospettiva
di un completo rovesciamento della piramide, con il risultato che in
Italia si avranno tre anziani (>65 anni, secondo l’O.M.S.) per ogni
neonato. Cosa ha determinato questo impressionante cambiamento? La
fertilità in alcuni paesi si è ridotta ben al di sotto del ricambio
generazionale, che si realizza naturalmente con 2 figli per coppia: in
Italia ed in Spagna, per esempio, questo Indice di Fertilità (I.F.) è
pari ad 1,2. Le donne hanno imparato a controllare la fertilità, ma
soprattutto hanno modificato la scala dei valori, ponendo la autonomia
personale, culturale ed economica, in cima alle loro aspirazioni.
Rivoluzione vera, se ricordiamo con E.Shorter ('Storia del corpo
femminile', Feltrinelli Ed., 1984) che: ' prima del 1900 circa la
femminilità è stata un fattore essenzialmente negativo per la maggior
parte delle donne, qualcosa che ai loro occhi le rendeva inferiori agli
uomini, una condanna imposta da Dio da quando Eva era stata cacciata
dall’Eden, un fardello da sopportare con silenziosa rassegnazione'. Ciò
che ha consentito questo radicale capovolgimento dei costumi è stata la
rivoluzione sessuale, resa possibile dalla contraccezione. La fertilità
cessa di essere un obbligo, peggio un destino ineluttabile (môira dei
Greci, fatum dei Latini) e diviene una libera scelta. La fecondazione
assistita scinde definitivamente la sessualità dalla fecondità ed apre
prospettive, purtroppo sovente illusorie e mistificatrici, di
superamento delle barriere biologiche. L’età al primo figlio cresce
sensibilmente sia per esigenze sociali ed economiche che per il
diffondersi dei nuovi miti di onnipotenza. Il figlio, come tutti i
prodotti, deve essere perfetto, se ne chiede la garanzia (per quanto: 1
anno, 3, tutta la vita?). La Medicina Perinatale invade il corpo
femminile con tecnologia evoluta ed in continuo sviluppo: il mistero si
svela, come adombra una inquietante Monna Lisa. Poco oltre la metà del
XX secolo la fontana dell’eterna giovinezza viene riattivata dai coniugi
Wilson, con il loro 'Feminine for ever' (1956), rispondendo forse al
richiamo del Siddharta (H.Hesse, 1922) : 'hai apprezzato anche tu il
segreto del fiume, che il tempo non esiste?'. Una intera società
opulenta (the affluent society) chiude volentieri gli occhi, come
Giorgio De Chirico, allo scorrere del tempo ed alla giovinezza che se ne
rotola via. Atteggiamento non privo di giustificazioni, del resto, se è
vero che a settanta anni si può ancora comparire su un famoso
calendario e rappresentare un simbolo di attrazione sessuale, come
Sophia Loren .Anche lasciando da parte il sex-appeal un fascino
persistente circonfonde donne non più giovani, ma nel pieno di una
maturità ricca e generosa di esperienze. Certo non tutte le donne, la
cui aspettativa di vita ha intanto superato gli 80 anni, sono dotate di
un tale carisma, quale che ne sia la fonte, ma tutte vi aspirano
legittimamente. Nel volgere di una generazione sono sparite le madri con
la veletta e le nonne con l’uncinetto, lasciando il passo a donne che
vivono tranquille, non ponendosi neppure il problema della cessazione di
una fertilità che ha dato loro gioie importanti , il più delle volte
volute, scelte, ma di cui fanno ormai volentieri a meno. La cosiddetta
qualità della vita transita da desiderio ad aspettativa e la Medicina è
ancora una volta chiamata a rispondere a richieste che ha avventatamente
stimolato
Commenti
Posta un commento