Fara e Colombano d'Irlanda


FARA la barbara e Colombano il monaco irlandese(1 parte)

Nella seconda metà del VI secolo, il regno dei Franchi, agitato da feroci lotte dinastiche, perse, per un certo periodo, la sua unità politica. Il regno, suddiviso in: Neustria, Austrasia, Borgogna e Aquitania, ritrovò l’unità sotto il regno di Clotario II (613-629). Si trattò di un periodo di decadenza per la monarchia franca. Suo figlio Dagoberto lasciò nel popolo il ricordo di esser stato il “re buono”, dovendo forse tale fama alla capacità dei suoi consiglieri. Alla sua morte il regno si divise ancora e si ebbe un periodo in cui (il periodo dei re fannulloni o rois fainéants 640-741 d.C.) si fece sempre più forte l’autorità dei “maestri di palazzo”, capi dell’aristocrazia di corte.La debolezza del ceto aristocratico rendeva difficile la resistenza agli Arabi, che avevano già conquistato la Spagna.

La famiglia: In questo quadro storico si innesta la storia della nostra Santa. La sua città natale, Pipimisicum (l’attuale Poincy, secondo quanto riportato dal cronista Giona di Bobbio), a cinque chilometri da Meaux, apparteneva al regno di Austrasia, governato allora da Teodeberto II. Il padre di Fara, Cagnerico era un conte che godeva della protezione del re. La sua fede era quella tipica dei barbari convertiti in quei tempi alla fede in Cristo. Sua moglie Leodegonda, invece, pare fosse dotata di un più robusto spirito cristiano. Egli aveva quattro figli: Cagnoaldo, Farone, Fara (o Burgundofara) e Agnetrude. Alcune fonti riportano un ulteriore fratello, chiamato Agnulfo. Cagnoaldo era un religioso al seguito di San Colombano e Farone fu, poi, vescovo della diocesi di Meaux.

L’incontro profetico con San Colombano: Nell’anno 610, San Colombano, fondatore di Luxeil, scacciato dal suo monastero dalla regina Brunehaut, si recò in Austrasia presso il re Teodeberto II e si fermò a Meaux nella villa di Pipimisicum presso il leudo Cagnerico (le fonti attribuiscono ai leudi il rango di compagni, fedeli ai re Merovingi. Ci sentiamo allora di poter affiancare compagni al latino comites, e dunque, diremmo oggi, conti).
Qui l’Abate fu accolto, dal padre di Fara, con la più cordiale ospitalità. Va precisato che il fratello di Fara, Cagnoaldo, accompagnava in quel viaggio Colombano. Così la piccola conobbe San Colombano. Un giorno andò da lui recando in mano spighe di grano raccolte di fresco e fuori di stagione, come riportato anche da Padre Carcat . Colombano la fissò compiaciuto e, leggendo bene tale segno, le rivolse queste parole: “Mia cara bambina, tu hai scelto la miglior parte; il grano sarà per te”. Poi soggiunse: “Il frumento rappresenta nostro Signore Gesù Cristo, che è stato gettato nel mondo come chicco di grano, e che, dopo essere stato triturato e macinato dai dolori della passione, ha reso per nostra salvezza dei frutti ammirabili ai quali voi avete partecipato già col Battesimo, ma che riceverete con maggiore abbondanza, se corrisponderete al Suo amore per voi”. Gli rispose allora la giovane contessa Fara: “Indicatemi, Padre mio, vi prego, il luogo dove troverò questo Divino Maestro, affinché possa servirlo”, per poi concludere: “è lui forse che si mostra qualche volta a me di notte, talora sotto forma di fanciullo d’una radiosa bellezza che mi fa dei sorrisi amabilissimi, talora sotto quella di un uomo pieno di maestà, ma lacerato da colpi di frusta, coronato di spine, inchiodato a una croce, e accompagnato dalla Santa Madre; talvolta ancora risplendente di gloria e tutto circondato di luce?”. San Colombano non poté far altro che ammirare le meraviglie della grazia presenti nella piccola consigliandole di meditare spesso la Passione di Gesù Cristo.
Andando via, nel benedire la famiglia, trasse in disparte Farone e Burgundofara, consacrandoli entrambi al Signore, manifestando il suo spirito profetico. Non avrebbe più visto quella casa ospitale, ma nella fanciulla, che aveva benedetta, lasciava il suo spirito.

San Colombano (540-615)
Era un monaco irlandese che aveva scelto la via del pellegrinaggio per assecondare la chiamata ricevuta. A trent’anni lasciò il monastero di Bangor e, presi con sé dodici compagni, attraversò l’Inghilterra e raggiunse la Francia finché la sua fama pervenne addirittura al re Sigisberto d’Austrasia, da cui ottenne un fondo per la costruzione del suo primo monastero. Per qualche tempo si spostò in Borgogna, da cui dovette poi allontanarsi per attriti con il re Thierry. Raggiunse Parigi, liberò un ossesso e andò a Meaux; durante tale viaggio si verificò l’episodio delle spighe appena riportato. Secondo il costume irlandese governava i monaci secondo un codice tramandato oralmente, tuttavia egli redasse i capitoli di una Regola, la quale si caratterizzava per la tendenza al rigorismo ascetico, ispirato ai Padri d’Oriente, poi superato da Benedetto. Le sue linee principali si rintracciano nel capitolo intitolato Della perfezione del monaco, di cui ci limitiamo a riportare alcuni punti e qualche brano scritto proprio da Colombano:
Il Monastero è guidato da un solo padre.
Virtù da perseguire: umiltà, pazienza, silenzio, mansuetudine. Obbedienza.
Nutrimento semplice e consumato di sera, allo scopo di non apportare la sazietà e l’ubriachezza e di sostenere, non di nuocere. Si trattava di erbe, legumi, farina miscelata con acqua e un pane cotto due volte, specie di biscotto detto paximatio. Il pesce era ammesso in certe circostanze. La bibita adoperata era la cervogia, una specie di birra di origine nordica. Il latte, stando a certe fonti, non era consumato abitualmente.
Da una predica di Colombano: “Che cosa ti appartiene di più della tua anima? Non perderla, dunque, per il nulla. Non perdere di vista la cose eterne per quelle che sono passeggere. Il mondo intero è estraneo a te, a te che sei nato nudo e che sarai seppellito nudo […] Pensa dunque alla morte, che mette fine ai piaceri del mondo, e vedi dove vanno a finire i godimenti dei ricchi. Che cosa c’è di più degno delle lacrime che questa condizione, che cosa di più infelice di questa miseria?”.

Proprio nell’anno 610 egli predisse al re Clotario che non più tardi di tre anni agli avrebbe posseduto i regni dei due cugini Teodeberto e Thierry. Nel 613 infatti si avverò la profezia. Fredegario ci ricorda il re Clotario con la seguente definizione: “paziente, letterato, timoroso di Dio, gran benefattore delle chiese e dei preti, caritatevole con i poveri e buono e dolce verso tutti”.
Affidò i figli d’Oltralpe ad Eustasio, degno successore, che incontrò il favore di Clotario. Morì il 23 Novembre del 615 a Bobbio, nella vallata del fiume Trebbia, dove si trova una strada intitolata, ancora oggi, a Santa Fara.

Secondo quanto riportato da Giona “Eustasio fu subito così amato da tutti, che nessuno di quelli che avevano ricevuto gli insegnamenti di Colombano, si lamentava più di averlo perduto, tanto si ritrovava nel discepolo la dottrina del maestro“.

Fara lesse senz’altro le lettere di San Girolamo che scrive sulla velatio, il matrimonio mistico con Cristo delle giovani donne nel momento in cui viene loro imposto il velo sacro. E senza dubbio dovette conoscer bene l’esempio di Santa Genoveffa e Santa Celina di Meaux, compagna della prima.

La vocazione e le vessazioni paterne: Dopo la morte di Colombano, la formazione religiosa di Fara fu curata da Eustasio, suo discepolo. Contro la volontà di suo padre, che aveva organizzato per Fara un matrimonio finalizzato alla promozione sociale della famiglia, la ragazza manifestò la sua intenzione di diventare sposa di Cristo.
Iniziò un periodo di vessazioni e sofferenze: Burgundofara versò tante lacrime da perderne la vista. “Preferisco perdere la vista, che la libertà di consacrarmi a Dio” . Fu rinchiusa in casa e colpita, oltre che dal male agli occhi, anche da febbri fortissime, che spingevano a temere per la sua sopravvivenza. Le parole di Fara furono riferite al padre Cagnerico che non voleva più vederla; persino le ancelle la abbandonarono a se stessa, privandola di ogni compagnia.
A questo periodo risale un sogno profetico nel quale vide avvicinarsi al suo letto un religioso che le rendeva la vista. Poi scorse un gran numero di suore, precedute da Cristo, che le ordinava di presiedere a quelle sante vergini e di andare in un monastero costruito dallo stesso suo padre.
Capitò allora che Sant’Eustasio, successore di Colombano a Luxeil, si trovasse a far visita presso il leudo Cagnerico a Pipimisicum, arrivando a scoprire in quali condizioni versasse Fara, quasi sicuramente tramite Cagnoaldo, suo fratello monaco. Rimproverò il leudo per la sua condotta e si fece condurre da lei, interrompendo il suo stato d’isolamento. Giunto alla presenza della malata, si mostrò disposto a cancellare il voto della giovane, ottenendo, però, in risposta, il sussulto della giovane: mai si sarebbe lasciata piegare a “cambiare i beni del cielo con quelli della terra” . A quel punto Eustasio si prostrò per terra in preghiera e le segnò gli occhi con la croce. Avvenne il miracolo: Fara riacquistò la vista.
A seguito di tali eventi Cagnerico si impegnò a lasciare libera Fara nei suoi propositi. Prima che Fara fosse guarita miracolosamente, il padre avrebbe detto, addirittura: “Volesse il cielo che Ella ritornasse in salute e potesse in tal modo votarsi al servizio divino! non mi opporrei a tali voti!” . Ma ben presto dimenticò le sue promesse, tornando ai propri propositi di costringere la figlia al matrimonio. Addirittura egli affrettò i preparativi per mandare la giovane dal suo fidanzato. Fara, allora, fuggì di casa durante una notte. Si diresse verso il ponte di Trilport e si rifugiò nella chiesa di s. Pietro Apostolo. Cagnerico mandò i soldati a cercarla per riportarla a casa, viva o morta. Essi la trovarono in preghiera nella chiesa. Di fronte alle minacce, Fara replicò: “Voi credete ch’io tema la morte? Fatene la prova su questo pavimento. Io con gioia riceverò la morte, in onore di una tal causa, per Colui che non ha disdegnato di morire per me!” I soldati se ne andarono. Altri servi però andarono poi a prenderla con la forza e la rinchiusero in carcere.

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