Da una mia prefazione su un testo del Berneri:il concetto di rivoluzione
Ho riletto, dopo molti anni,
il testo di Berneri: IL CRISTIANESIMO E IL LAVORO.
A distanza di tempo, molto, ho
avuto la stessa percezione.
Chiaro è che gli strumenti di
analisi e di interpretazione sono aumentati, ma ciò è legato al
cognitivo e all’esperienza e non sono vettori giusti per un’analisi
di questo testo e di questo autore.
La sensazione, l’emozione, o
per dirla con gli anglosassoni, l’insight, è stato
identico.
La prima cosa che dovrebbe
evidenziarsi da questo evento prettamente privato riguarda la
validità dell’assunto di Berneri.
Tutto ciò che è vero e che
coglie istanze profonde nella mente umana, va al di là del tempo,
della contingenza politica, sociale e culturale e viene a riguardare
l’assoluto.
Così è per il Berneri che in
questo breve saggio riesce a cogliere istanze che prescindono dal qui
e ora e diventano istanze imprescindibili di interpretazione di
comportamenti umani.
Ma chi è Berneri?
Probabilmente se andassimo a
chiedere di lui a molti giovani, anche vicini alle sue posizioni
interpretative di realtà, avrebbero perplessità ed incertezze a
rispondere.
Non starò, in questa sede a
rifarmi a una traccia biografica o di pensiero, facilmente
rintracciabile in una cultura, la nostra, in cui i dati sono
facilmente accessibili.
Parlerò, invece, della sua
essenza di pensiero, di quella splendida immortalità del decifrare
che riguarda pochi.
Berneri è un libertario
rivoluzionario nel senso etimologico e non politico del termine.
Se andiamo ad esaminare
l’etimologia di “rivoluzione” vediamo la sua pragmatica e
concreta origine: revolvere, cioè rovesciare, termine in origine
usato prettamente per il “revolvere” la terra prima di una nuova
semina.
Chiunque abbia conservato una
dimestichezza con gli affari di campagna, ben sa che in primavera,
cioè nelle condizioni climatiche favorevoli, il contadino sconvolge,
rovescia la terra, cancellando ogni topografia precedente.
Il rovesciare la terra assume
il massimo valore simbolico: rovesciare, modificare, sollevare, a
volte estirpare con coraggio, per dare modo alla terra di rigenerarsi
e accogliere proficuamente nuovi semi.
Il significato primo del
termine si è andato, per molti versi, perso, come si è perso il
contatto con il significato e il significante della parola che poi
danno un valore a tutte le nuove connotazioni.
Quindi un rivoluzionario è
colui che apre e rivolta uno status quo, ma non come azione fine a se
stessa.
Il rivolgere è strettamente
legato al seminare, quindi al ricostruire, sulla stessa terra, semi,
progetti, paradigmi di convivenza migliori e più fruibili.
Questo fa il Berneri, anche in
questo testo di lucida e corretta interpretazione storica che si
svolge e affronta vari passaggi storici ed ideologici del
cristianesimo e del suo rapporto filosofico con il lavoro.
Bella ed accurata l’analisi
su quella che fu la vera essenza di quell’epoca illuminata
denominata Medioevo, con la contrapposizione tra il pensiero puro, il
misticismo, e le regole monastiche che modificarono il concetto di
lavoro assegnando ad esso un ruolo determinante nel rapporto con la
divinità.
Berneri ci offre un concetto
di lavoro molto vicino a quel “principio di realtà” che è una
delle valenze della topica psicoanalitica: il lavoro è quel
comportamento agito che contatta la realtà e con la realtà l’altro,
legando gli uomini in un rapporto di collaborazione e legando
l’individuo ad un rapporto con l’oggetto che determina la
soddisfazione non solo del bisogno materiale, ma anche di quello del
pensiero.
Rivoluzionario, quindi, il
Berneri nel termine più puro, non come distruttore di status, ma
come costruttore di nuovi progetti.
Io intravedo qualcosa di più
importante e determinante nel suo pensiero: il Berneri è un
creativo, cioè il livello più alto che si possa raggiungere nella
possibilità di proporre idee e costruire realtà.
Tutto il suo sentire si muove
nell’assoluta divergenza rispetto alla conformità, morbo mortale
che blocca e irrigidisce spesso anche potenziali di cambiamento.
Destinato, come lo sono solo i
creativi, a probabili e inevitabili dissidenze anche all’interno
della sua matrice d’idea, il Berneri però mi appare non
corruttibile alle lusinghe del facile plauso ed è forse questo che
me lo ha fatto amare e me lo fa amare anche oggi.
Concludo con la sua
conclusione che chiosa tutto il lavoro e riassume nella sintesi quel
principio di realtà di cui abbiamo parlato: “il lavoro apparve (ed
io aggiungo appare) al lavoratore come una dignità, ma anche e
soprattutto come una pena enorme”, perché è in questa breve frase
che si concentra tutta una teoria: l’azione, il contatto, la
modificazione e l’operazione sull’oggetto, la collaborazione, la
soddisfazione dal bisogno, sono per l’uomo, in quanto antitetici al
principio del piacere, fonte insieme di soddisfazione, ma anche di
pena e dolore.
Susanna Berti Franceschi
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