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Il consenso alla dittatura



Uno sguardo al fascismo del nostro tempo (parte 1)

di Salvatore Pappalardo e Emilio M.Sanfilippo
[…] ogni generazione riprende in mano le tracce del passato per darne un’ interpretazione legata alla propria mentalità e ai propri problemi.
N. Tranfaglia 2011
Introduzione
A settant’anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e della dittatura fascista in Italia, il fascismo continua a occupare nel tessuto socio-culturale italiano ed europeo una posizione con cui è difficile non fare i conti. È una presenza ingombrante ma difficile da definire e circoscrivere ad un ambito preciso: dai centri sociali di estrema destra a principio ispiratore del più becero populismo, se di certo è qualcosa che fa discutere non è chiaro di cosa stiamo parlando quando oggi parliamo di fascismo.
Se facciamo una rapida e piuttosto sommaria ricerca su Google Trend, utilizzando le parole-chiave ‘Fascism’ e ‘Benito Mussolini’, si osserva come il volume di ricerche sia decisamente maggiore per il primo termine che per il secondo. E che nel giro di nove anni la densità di ricerche per il termine ‘Fascism’ si sia spostata con maggior frequenza dall’Italia verso altre parti del mondo, mentre il termine ‘Mussolini’ si è mantenuto geograficamente più stabile nel suolo italico.
È vero che i dati si estendono a interpretazioni molteplici ma possiamo azzardare l’ipotesi che esista un interesse per il fascismo che esula dalla sua dimensione storica, legata alla figura del suo fondatore, per declinarsi al tempo presente. Il che ci autorizza a chiederci non tanto perché o che senso abbia oggi parlare di fascismo ma in che senso oggi ne parliamo.
Formulare questa domanda richiede una necessaria premessa: chi scrive sa bene quanto sia detestabile essere indifferenti alle questioni politiche, ma la domanda esula dalle nostre simpatie ideologiche. Del resto, siamo convinti che, come la religione o i propri gusti sessuali, la politica sia qualcosa di privato e squisitamente personale: parlare di sodomia o di lotta di classe durante una cena rasenta a volte il cattivo gusto.
La domanda principale che analizziamo in quest’articolo è: cosa s’intende oggigiorno quando ci si dice sostenitori (e di conseguenza oppositori) del fascismo? Per rispondere diventa cruciale capire cosa è il fascismo e quindi quali riferimenti abbracciati dal termine ‘fascismo’. Questa seconda questione ci aiuta sotto il profilo metodologico a individuare una sorta di “criterio d’identità” del fascismo e quindi a comprendere su quali principi si basa l’uso del termine ad esso correlato.
In quest’indagine non è detto che sia necessario guardare al caso mussoliniano per capire il fascismo tout court. Verosimilmente il fascismo è qualcosa di più generale, che si manifesta in diversi tempi e spazi ma con forme simili e il Partito Nazionale Fascista (PNF) ha soltanto rappresentato il caso a noi più vicino di pensiero fascista. D’altro canto è fuor di dubbio che solo con Mussolini il fascismo ha fatto il suo ingresso nella storia.
Prima di addentrarci nell’analisi, vale la pena sottolineare che questo non è un articolo scientifico. La letteratura sociologica, storica e filosofica specializzata in materia di fascismo è piuttosto sviluppata e nel corso dell’articolo è presa in considerazione, seppur solo in minima parte. Il nostro è un obiettivo, se vogliamo, più informale e nato dall’esigenza di riflettere su un tema centrale nella storia e società italiana e internazionale.
Probabilmente gli specialisti del settore troveranno quest’intervento superficiale e i suoi contenuti scontati. Per tutti gli altri, la speranza è che l’articolo stimoli una riflessione critica sull’argomento.
Fascismo: tra caso italiano e tipo weberiano
Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale diverse generazioni di studiosi si sono poste il problema di capire cosa sia il fascismo, con esiti e metodologie spesso divergenti. Da una parte la tradizione di studi italiana ha posto particolarmente l’accento sul fascismo di Benito Mussolini, studiandone la storia, l’ideologia, le cause della vittoria e della sconfitta. Dall’altra parte, vari studiosi hanno proposto di guardare al fascismo non soltanto nella sua veste italiana, ma come fenomeno socio-politico a carattere più globale. In questa seconda prospettiva ha preso piede l’idea del “fascismo generico”, ossia come un genere ideologico simile a socialismo o liberalismo e quindi non necessariamente riconducibile a “un’essenza empirica utilizzabile come base di una definizione oggettiva” [Griffin 2003, p.102].
Tra gli esempi della tradizioni italiana, Emilio Gentile ha proposto di vedere il fascismo come fascismo italiano, il movimento-regime totalitario Mussolini, caratterizzato da una precisa dimensione organizzativa, culturale e istituzionale [Gentile 2003]. Sotto questa prospettiva, il fascismo è stato un movimento di massa fondato sull’idea di una rivoluzione continua per la realizzazione di uno stato nuovo su principi nazionalistici e che, quindi, discriminava e perseguitava gli oppositori; ricorreva al terrore organizzato per il controllo della società; vedeva nella figura sovrastante del capo supremo un leader investito di sacralità carismatica al quale tutta la società doveva la propria devozione. Per Gentile il “fascismo generico” è solo uno strumento utile “per orientare la ricerca storica e ordinare concettualmente i suoi risultati”, ma è all’Italia che bisogna guardare per capire l’essenza del fascismo.
Uno degli esempi più noti dell’approccio finalizzato alla comprensione del fascismo in senso generale è Roger Griffin [1991]. Lo studioso inglese sostiene una concezione del fascismo come tipo ideale weberiano, vale a dire, un concetto che astrae le caratteristiche comuni di diversi fenomeni storico-sociali e risulta particolarmente utile per la loro analisi e comparazione. Stando a Griffin, “il fascismo è un’ideologia politica di cui il nucleo è rappresentato, nelle sue varie permutazioni, da una forma palingenetica di ultranazionalismo populista” [Griffin 1991, capitolo 2] .
In questo senso, il fascismo nasce e si sviluppa all’interno di un momento critico per la vita di uno stato, per il quale propone un cambiamento radicale, una vera e propria rinascita dalle ceneri del proprio passato. Il fascismo è ultranazionalista per Griffin, perché pone fortemente l’accento sui valori di una nazione a danno delle altre, da cui l’atteggiamento xenofobo e razzista. Il fascismo è populista perché fondato sulle masse, che non soltanto inquadra attraverso un rigido sistema di controllo e propaganda, ma mobilita con una strategia sociale ben precisa.
In un articolo più recente Griffin ha sottolineato la presenza di un consenso – “fragile e incompleto” – tra gli studiosi su cosa intendere per fascismo: “una forma di nazionalismo antiliberale e, in ultima analisi, anticonservatore, genuinamente rivoluzionario e interclassista. […] Nel periodo fra le due guerre [il fascismo] si è manifestato soprattutto nella forma di un partito armato guidato da un’élite che cercava, per lo più senza riuscirvi, di creare un movimento populista di massa attraverso uno stile politico liturgico e un programma di politiche radicali che prometteva di superare la minaccia rappresentata dal socialismo internazionale, di porre fine alla degenerazione che affliggeva la nazione a causa del liberalismo e di determinare un rinnovamento radicale della sua vita sociale, politica e culturale come parte di quella che molti immaginavano fosse, per la civiltà occidentale, l’inizio di una nuova era” [Griffin 2003, pp.99-100].
Il fascismo mussoliniano: “credere, obbedire, combattere”
Rimandiamo a [Montanelli 2003, Sassoon 2010, Tranfaglia 2011] per dettagliate analisi storiche sul ventennio fascista in Italia. Per comprendere quello che è forse l’elemento principale del fascismo occorre partire dalla sua natura ideologica, o meglio dall’assoluta mancanza di una struttura dottrinale. Ciò che costituì un partito politico e una dittatura ventennale fu una visione del mondo basata su una dottrina piuttosto imprecisa, sfumata ed eterogenea, basata inizialmente su elementi presi a prestito sia dal socialismo italiano che dall’irrazionalismo nietzschiano, per abbracciare, in seguito, temi appartenenti all’idealismo di matrice hegeliana.
Il fascismo nacque insomma come un’ideologia priva di contenuti precisi. Nonostante questa inconsistenza ideologica, o forse proprio per questa ragione, nel 1930 fu istituita la Scuola di mistica fascista, con lo scopo di creare un culto del credo fascista e del suo Duce a dispetto della pochezza e del sincretismo dei suoi contenuti politici. Riportiamo di seguito alcune righe sulla nozione di mistica fascista che esprimono perfettamente la logica centripeta e autoreferenziale della legittimazione del fascismo, veicolata attraverso la figura del duce e dal suo ruolo di “addensante politico”:
“In tal senso “mistica fascista” significa convinzione nell’assoluta verità della dottrina affermata dal Duce e convinzione nella necessità stessa di questa dottrina, come mezzo della grandezza e potenza della nazione (…). La mistica fascista può…meglio definirsi come l’azione fascista determinata dalla fede più salda nell’assoluta verità delle affermazioni fasciste” [l’enfasi in grassetto è nostra]
A questa assenza di contenuti fa da pendant il carattere “pragmatista” e violento del fascismo e il suo forte spirito nazionalista.
Il pragmatismo, com’è noto, è una corrente filosofica che si sviluppò sul finire dell’Ottocento, che nega il carattere meramente teoretico della speculazione filosofica per affermare la natura utilitarista dell’indagine epistemologica: per comprendere il significato di un concetto, la sua ragionevolezza o efficacia, occorre analizzare i motivi profondi ed essenziali che hanno costituito, sia pure inconsciamente, lo scopo per cui quel concetto è stato introdotto, e che spiegano la ragione intima della sua utilità. Non c’è concetto che venga risparmiato in questo smantellamento dell’ipostatizzazione: persino principi indiscutibili come la Verità, l’Uomo o Dio sono costretti a soccombere, diventando semplici parole la cui legittimità è subordinata alla rigorosità dei criteri di enunciazione [cfr. ad esempio De Finetti, 2006].
In Italia il pragmatismo ebbe nelle figure di Vailati, Calderoni e Papini alcuni dei suoi rappresentanti più importanti. Papini fu del resto una figura molto legata al fascismo; basti ricordare la dedica al “Duce, amico della poesia e dei poeti” o l’essere stato designato a ricoprire la carica, alla morte di Gentile, quale Presidente dell’Accademia della Repubblica di Salò.
Dal pragmatismo epistemologico a quello politico il passo è breve: l’azione sulla parola, il fine sui mezzi, i valori dell’arditismo contrapposto ai sofismi e ai vuoti chiacchiericci della politica. Panacee per una classe borghese che negli anni ‘20 si ritrovò delusa da uno stato anchilosato ed esasperata dai tumulti di matrice proletaria. L’attività violenta e repressiva che caratterizzò il movimento fascista, fin dai suoi albori, non fu solo un fenomeno circostanziato e legato ad un momento storico ben preciso, ma l’espressione stessa di un elemento ad esso intrinseco: la sua metodologia.
Sono tristemente noti gli eventi legati alla figura di Giacomo Matteotti. Notoriamente, il deputato del PSI condannò in un discorso alla Camera dei Deputati (30 Maggio 1924) le irregolarità delle elezioni politiche avvenute nell’aprile del 1924, le quali avevano legittimato il potere del Partito Nazionale Fascista al governo del Regno. La vicenda è nota. Il 10 giugno del ‘24 Matteotti fu rapito e giustiziato da un gruppo di fascisti, confermando inesorabilmente le parole conclusive del suo discorso alla Camera: “Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”.
Il fascismo di Mussolini insomma non fu mai ideologico ma essenzialmente metodologico. L’ideologia, costruita ad hoc e solo in un momento successivo, servirà solo per dare forma alla narrazione mediatica della “rivoluzione fascista” per il glorioso futuro della nazione. Questo aspetto è ancora più chiaro se si tiene presente che, se negli anni ’20 è l’individualismo stirnerniano uno dei riferimenti culturali di Mussolini, vent’anni dopo saranno Hegel e la legittimazione dell’esistente attraverso il modello dello Stato Etico [Bonanno, 2003].
Del resto, i caratteri del fascismo storico e della sua ideologia sono brillantemente riassunti in una delle massime mussoliniane più note: “Credere, obbedire, combattere”. La massima non fa appello al senso critico del pensiero umano, né invoca un principio superiore a ipoteca del presente in nome di un benessere futuro; al contrario, esige solo che i suoi membri credano alla dottrina per obbedire alla volontà dei capi e del Capo supremo e combattere contro i nemici esterni e interni alla Nazione.
Il fascismo come prassi
Nel saggio “La Mobilitazione Totale” il filosofo tedesco Ernst Jünger delinea una concettualizzazione del fascismo come espressione di un processo volto a instaurare in Italia un’omogeneità funzionale al servizio dello Stato. In questo testo, pubblicato negli anni ’30, Jünger individua una sorta di continuità tra l’esperienza della Prima Grande Guerra e lo sviluppo di movimenti come il fascismo, il nazismo o il comunismo: essi risponderebbero all’urgenza di meccanizzare la Nazione, sulla base di una logica di prestazione generalizzata dello Stato che si sviluppò a seguito dello sforzo bellico impresso dalla “guerra dei materiali”.
Ciò che caratterizzò la Prima Guerra Mondiale, infatti, fu la partecipazione di tutta la nazione al conflitto, al sostentamento della sua economia. Il venir meno di una casta guerriera, ed il conseguente aumento dei costi per sostenere un esercito di volontari, porta alla necessità di dar fondo a tutte le risorse a disposizione di una Nazione. Per mantenere la macchina della guerra in attività è necessario un gigantesco processo lavorativo nel quale ogni parte della società, ogni potenziale energia, è al servizio dell’impresa bellica.
In questo scenario la distinzione tra fabbrica e fronte viene meno: il soldato in trincea e il civile impiegato nella produzione di artiglierie sempre più pesanti condividono adesso lo stesso destino. Entrambi sono coinvolti nel conflitto e quindi soggetti al fuoco nemico, agli attacchi aerei, alla minaccia dei gas, perché entrambi prendono parte al processo di mobilitazione che trasforma i cittadini in risorse belliche. Processo che comporta una trasformazione radicale dell’assetto economico-produttivo delle nazioni e dunque del suo correlato antropologico, destinato a durare anche dopo il conflitto mondiale.
Con la guerra che entra nella fabbrica (o forse sarebbe meglio dire, con la fabbrica che entra nella guerra), sparisce la distinzione tra militare e non militare e ogni risorsa umana, sia essa tecnica o sociale, è coinvolta. “Credere, obbedire, combattere” è un imperativo che riguarda tutta la popolazione. La mobilitazione è dunque totale, il principio di prestazione generalizzato.
L’estetica futurista coglie perfettamente quest’aspetto. Nell’idea del movimento, nella tensione a catturare il mutamento si compie, infatti, la “rivoluzione” futurista: è qui che si realizza il nesso tra il concetto di movimento temporale e il concetto di movimento sociale, oramai principio politico fondamentale e realtà incancellabile sulla scena politica del dopo guerra [Blanco, 2011].
Il fascismo come utopia tecnocratica dunque. Nei suoi “Quaderni”, Gramsci (Quaderno 22) pone la questione paragonando il fascismo all’americanismo-fordismo. Entrambe sono forme moderne di organizzazione del lavoro, radicali e raziocinanti, in risposta all’esigenza di sviluppare un’“economia programmatica”. Tuttavia, il primo si rivela una risposta profondamente regressiva, una rabbiosa difesa dell’ordine costituito tradizionale, del sistema di privilegi e della stratificazione di rendite parassitarie che nel corso dei secoli si era accumulata nella società europea; la seconda costituisce invece una risposta progressiva e razionale – seppur segnata anch’essa dalle sue intime contraddizioni – che avrebbe sancito il passaggio dal vecchio individualismo economico all’economia razionale [Fresu, 2007].
Questa conclusione non può che riportarci a uno scritto forse troppo spesso rimosso più che dimenticato, ad opera di Vittorini, in cui viene posta una distinzione tra la forma del fascismo italiano (il fascismo “aggettivo”) e la sua sostanza (il fascismo “sostantivo”), cioè il vero volto che si nascondeva dietro la maschera del fascismo mussoliniano e che Vittorini identificava con il capitalismo.
In quest’ottica l’elemento chiave del fascismo, in senso “weberiano”, può essere individuato innanzitutto in questa specifica prassi, dalle intenzioni apparentemente trans classiste, rivoluzionarie e nazionaliste, destinata a risolversi nella rinnegazione stessa della rivoluzione sociale a beneficio delle oligarchie industriali e dei monopoli capitalistici.
Per concludere
Concludiamo con la seguente riflessione. Il fascismo fu, nella sua espressione storica, essenzialmente una prassi politica, con una sua metodologia ben precisa, finalizzata ad imporre una rivoluzione innanzitutto economica e, solo secondariamente, sociale, allo scopo di ottenere una razionalizzazione delle risorse (umane e non) della Nazione interamente al servizio e a beneficio del capitale.
Attraverso il tipo weberiano emergono una serie di caratteristiche del fascismo, una sorta di minimo comune denominatore, che prescinde dal caso storico italiano e che si declina nella storia più recente in diverse forme, secondo tratti costanti che prescindono dal dove e dal come. Nella seconda parte di questo intervento cercheremo di approfondire alcune caratteristiche di queste forme. Come detto precedentemente è una questione di usi: un comportamento “fascista” oggi può essere riconosciuto anche nei luoghi più insospettabili, dai seggi di uno scrutinio elettorale ai girotondi per la pace.
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L. Blanco, Futurismo e fascismo: l’utopia tecnocratica, in Storia costituzionale, dottrine e istituzioni in Occidente, Bologna, Il Mulino, 2011
Bonanno, Max Stirner, 1992
B. De Finetti, L’invenzione della verità, Cortina 2006
G. Fresu, Americanismo e fordismo: l’«uomo filosofo» e il «gorilla ammaestrato», Rivista trimestrale di cultura, Anno V n. 18/2007
E.Gentile, in in A.Campi (a cura di), Che cos’è il fascismo? Interpretazioni e prospettive di ricerca, Ideazione 2003
A. Gramsci, Quaderno 22. Americanismo e fordismo, Einaudi 1978
R.Griffin, The Nature of Fascism, Pinter Publishers Limited 1991
R.Griffin, Il nucleo palingenetico dell’ideologia del “fascismo generico”, in A.Campi 2003
B. Mussolini, La dottrina del fascismo, 1933 – IX
I. Montanelli, Storia d’Italia Vol. VII (1919-1936), ed. speciale per il Corriere della Sera, 2003.
E. Junger, Mobilitazione Totale, in Foglie e pietre, Adelphi 1997
D. Sassoon, Come nasce un dittatore. Le cause del trionfo di Mussolini, Rizzoli 2010
N. Tranfaglia, Il fascismo e le guerre mondial, UTET 2011
E. Vittorini, Fascisti i giovani?, in Il Politecnico 1946

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