Sessualità e Gruppo
Evoluzione storica ed etnocomparativa
delle mentalità e identità sessuali
Gian Marco Pauletta d’Anna
La sessualità è stata per la psicoanalisi freudiana un fondamentale cavallo di battaglia.
Il concetto di sessualità infantile e in generale la teoria sessuale, cioè la teoria dello sviluppo a partire dalle originarie pulsioni infantili, ha dapprima scandalizzato e poi convinto il pubblico degli esperti e dei profani delle innovative scoperte freudiane sul costituirsi della mente e delle sue forme.
Il cosiddetto “complesso di edipo”, che Freud caratterizzava il momento cruciale dello sviluppo infantile e nella cui evoluzione situava lo spartiacque tra normalità e patologia, è stato forse il concetto più diffusamente vissuto come sinonimo della psicoanalisi.
Successivamente con gli studi kleiniani l’interesse degli psicoanalisti si è incentrato molto sui precoci rapporti bambino-madre e sulla evidenziazione delle influenze, che le fasi originarie dello sviluppo comportano sulle successive evoluzioni e quindi anche sulla evoluzione edipica e sessuale. Normalità e patologia sono state reinterpretate sulla base di un più precoce spartiacque: il rapporto di fusione-separazione con l’oggetto madre in epoca neonatale.
La derivazione medico-psichiatrica di Freud aveva comportato l’intento di delineare una fisiologia dello sviluppo sessuale e le deviazioni patologiche dallo sviluppo normale.
La connessione tra sessualità e gruppo era presente in Freud in modo stretto.
Lo sviluppo normale della sessualità e delle identità sessuali era direttamente connesso al processo di socializzazione del bambino e la sublimazione costituiva il processo mentale necessario per adire uno sviluppo sessuale e sociale normale. La sublimazione veniva innescata da istanze sociali, rappresentate nella famiglia soprattutto dal padre, che tendevano a reprimere e inibire la sessualità infantile, cosiddetta “sessualità perversa polimorfa”, e a spingere il bambino verso mete (comportamenti) e oggetti (obiettivi) socialmente adeguati. La nevrosi e la perversione venivano ricondotte alla “refrattarietà” del bambino e della bambina alla sublimazione e quindi alla permanenza del conflitto interno tra sessualità infantile e istanze del super-io (nevrosi) o nel contrasto tra permanenza diretta delle tendenze infantili e norme dell’ambiente sociale (perversioni).
L’orientamento kleiniano accentuava l’orientamento biologistico di Freud, togliendo ulteriore importanza al rapporto con l’ambiente.
Roheim, psicoanalista molto ortodosso, che si è occupato ampiamente e direttamente di antropologia, affermava, nel suo, per altro prezioso, Psicoanalisi e Antropologia, che Freud per spiegare le ragioni della severità del super-io “fece ricorso all’ipotesi secondo cui il ricordo dell’orda primordiale e delle concretissime lotte tra genitore e i figli nel passato filogenetico si rinnoverebbe ad ogni ontogenesi. ............. Ma tale fantasia è in pari tempo un’estensione dell’immagine della madre cannibale, che è a sua volta l’inverso del figlio cannibale” (Roheim G., 1950, p.21).
Come già nel rapporto bambino-oggetto madre si porrebbe il problema del rapporto aggressività-libido e la rappresentazione proiettiva della madre-cannibale sarebbe dovuta alla aggressività del bambino che vorrebbe mangiare la madre, refrattario alla frustrazione delle pulsioni libidiche, come poi potrà essere refrattario alla frustrazione edipica.
L’orientamento kleiniano da una parte accentua l’impostazione biologistica di Freud annettendo alla pulsionalità del neonato la casualità delle vicissitudini dei precoci rapporti oggettuali e quindi degli sviluppi successivi, predisposti dai primi, e dall’altra parte riduce il significato del rapporto con l’istanza sociale, rappresentata dal super-io, che a sua volta deriverebbe dalla elaborazione infantile del rapporto oggettuale. Infatti nell’ orientamento kleiniano le formazioni sociali (istituzioni) vengono viste come derivate da elaborazioni difensive dell’angoscia infantile, come appare chiaramente, per esempio, nel noto lavoro kleiniano E. Jaques (1955) Sistemi sociali come difesa contro l’ansia persecutoria e depressiva. Contributo allo studio psicoanalitico dei processi sociali.
L’orientamento kleiniano tende a dare una maggiore spiegazione del processo di sviluppo dal neonato all’adulto socializzato e dello stesso sistema sociale, al di là della spiegazione tendenzialmente tautologica di Freud. Come altrove ho sottolineato (Pauletta d’Anna G.M. 1996 a), Freud da una parte vede la possibilità dello sviluppo del bambino nell’incontro con le istanze sociali dell’adulto e d’altra parte vede l’adulto come esito dell’incontro con il super-io (ovverossia l’adulto stesso) senza che si spieghi quindi come l’adultità-super-io origini ed è quindi costretto alla debole e improbabile congettura dell’orda primitiva e del senso di colpa subentrato all’uccisione del padre primigenio.
La spiegazione kleiniana accentua fortemente il riduzionismo biologistico e vede l’origine sia dello sviluppo individuale, che di quello sociale nell’incontro biologicamente determinato tra le radici pulsionali e l’oggettività esterna. Con ciò effettivamente si porta all’estremo la posizione di Freud, che non vedeva ragione di una psicologia sociale (Freud S., 1921) e che mantenne la speranza, ripetutamente espressa nei suoi scritti, di poter trovare una spiegazione biologica ai fenomeni psicologici.
Se rileggiamo oggi il famoso Tre saggi sulla teoria sessuale (Freud S., 1905)
l’impressione che non può non coglierci è soprattutto quella di uno scritto datato. Non solo per il linguaggio desueto e intriso di moralismo, ma anche e soprattutto per la concezione della sessualità normale e delle identità normali maschile e femminile, che, ben che vada, oggi ci possono sembrare le idee del nonno e della nonna, con le loro concezioni di un’altra epoca.
La nostra società è molto cambiata in questo secolo e molto cambiata è la morale sessuale, come sono cambiate le immagini con le quali identifichiamo uomo e donna e i loro rapporti. Si sono istituite e sono considerate normali le possibilità di separazione e di divorzio, tendono a scomparire i valori positivi della virginalità e i valori negativi dei “peccati” sessuali e di molti comportamenti sessuali cosidetti “perversi”. Nelle legislazioni sono scomparsi riferimenti a reati sessuali e sostanzialmente vige una morale diffusa, secondo la quale i comportamenti sessuali sono faccende personali e private, essendo ciascuno libero di comportarsi sessualmente come gli pare, solo che non danneggi o disturbi gli alti, il che rientra peraltro nella protezione della persona e nei reati contro la persona (ad es. stupro, pedofilia, esibizionismo in pubblico).
L’uomo normale di Freud viene oggi visto come un vetero “maschilista”, con il complesso della superiorità maschile, mentre la donna freudiana è vista come una succube, inibita e ottocentesca. La sessualità normale di Freud e le identità normali maschile e femminile, vengono oggi viste con il senso del ridicolo e dell’assurdo con il quale si sono sempre visti i costumi e le identità di altre società distanti dalla nostra, passate e vecchie o culturalmente lontane anche se coeve. Peraltro le diverse tendenze sessuali e le diverse mentalità sessuali hanno oggi il posto che hanno in generale le diverse mentalità, come ad esempio quelle religiose: le persone che hanno una mentalità e che si identificano con questa guardano alle altre mentalità con sufficienza e lieve stupore, come i credenti di una religione guardano ai credenti di altre, ma anche e soprattutto con il senso della giustezza della coesistenza di mentalità diverse, così come di religioni diverse. L’omosessuale non è più un pervertito, come non è zitella una donna che non si sposa, che non è una donnaccia un’adultera, ecc.. E la pornografia è un’optional, ma affatto scandaloso, come la nudità sulle spiagge o le preferenze personali alle forme di rapporto nell’alcova, che non interessano a nessun altro, che non sia il partner.
Gia sul finire degli anni 20 e poi negli anni 30 e 40 gli studi e le ricerche antropologici, anche di psicoanalisti antropologi, avevano comportato l’emergere di rilievi critici rispetto alle concezioni freudiane della sessualità. Per esempio i noti rilievi di Malinowski (1927) e della Mead (1928) a proposito rispettivamente del non rilevare ansietà edipiche in popolazioni dell’oceania e del notare l’assenza di ansie e inibizioni sessuali negli adolescenti di Samoa, all’interno di una corrente antropologica di “cultura e personalità” secondo cui i comportamenti umani possono avere significato solo all’interno della cultura e del gruppo etnico ove avvengono.
Queste obiezioni vennero, come altre, liquidate dal Maestro e dai suoi più fedeli interpreti e quindi ignorate dagli ambienti psicoanalitici e lasciate cadere nel calderone delle “resistenze e attacchi alla psicoanalisi”.
L’antropologia peraltro da allora ha ulteriormente sviluppato questa linea culturalista, purtroppo senza più la partecipazione di psicoanalisti, e, come in parte ho già riferito a proposito del fenomeno psicosociale della guerra (Pauletta d’Anna G. M., 1996 a) le attuali teorie antropologiche forniscono un quadro molto circostanziato e convincente, basato su ampie, documentate e numerosissime ricerche, dell’evoluzione delle culture, che mostra chiaramente i limiti dell’impostazione freudiana e kleiniana dello sviluppo individuale e dei gruppi dal punto di vista della fisiologia e della patologia.
Gia per la guerra, appunto, fenomeno di cui Freud si era occupato e che aveva ricondotto al processo di sublimazione e fatto derivare dalla insocializzabile agressività umana come sfogo canalizzato dei residui aggressivi non sublimabili, ho cercato di mostrare come vi siano altre spiegazioni, che possono dare conto della diversità della presenza/assenza dei fenomeni psicologici dei diversi gruppi etnici. Nella sostanza la stessa impostazione si può riproporre per quanto riguarda lo sviluppo della sessualità nelle sue diverse forme mentali.
Il riferimento etnocomparativo ha particolare importanza per due ordini di motivi.
Intanto l’esistenza di gruppi etnici diversi (Murdock G.P., 1967, ne ha classificati 1.179), all’interno dei quali gli individui hanno mentalità diverse, implica la necessità di spiegare come mai ciò sia avvenuto. Nel caso della sessualità si deve spiegare come mai in un gruppo etnico si abbiano normalmente mentalità, identità e comportamenti sessuali di una certa forma e in altri gruppi etnici mentalità, identità e comportamenti molto diversi.
In secondo luogo, ma niente affatto secondario, l’esistenza di fatto di sistemi di allevamento diversi, di diverse relazioni madre-bambino, padre-bambino e gruppo sociale-bambino, evidentemente connettibili agli esiti diversi dello sviluppo è un preziosissimo campo di indagine che permette di ovviare all’impossibilità di creare situazioni sperimentali nella psicologia dello sviluppo (non possiamo infatti provare ad avere con neonati simili o bambini simili relazioni diverse per vedere cosa ne venga fuori, ma dobbiamo contentarci di osservare quanto spontaneamente avviene).
Orbene, la moderna ricerca antropologica ha delineato una generale teoria dello sviluppo filogenetico esplicativa sia del modello generale dello sviluppo socioculturale, sia dei diversi gruppi etnici. Gli antropologi studiano origini e sviluppo delle culture e le loro interne articolazioni e considerano poco la psicologia umana, data la molto scarsa partecipazione degli psicologi e la quasi nulla partecipazione degli psicoanalisti a tali studi, ma in effetti lo studio delle culture ha come oggetto la psicologia umana, vista dal vertice dei grandi gruppi etnici e dai gruppi istituzionali primari e secondari, dato che, come sappiamo, i comportamenti degli esseri umani, siano essi relativi al mondo materiale. agli altri esseri umani individualmente o come gruppi, poggiano sulla mente e sulle mentalità (intese come strutture psicodinamiche specifiche).
Marvin Harris, forse il più autorevole rappresentante del moderno indirizzo antropologico, nel testo Cannibali e re. Le origini delle culture (Harris M., 1977), titolo metaforico dei comportamenti per la sopravvivenza (tecnologie) e delle strutture sociali, liquida, dati alla mano e a ragion veduta, la concezione dell’universalità dello sviluppo, sia filogenetico, che ontogenico.
Parlando anche per metafora di tutti i fenomeni psicologici: se anche fosse vero che tutti i neonati presentino aggressività orale sotto forma di tendenza cannibalica, come mai alcuni diventano veramente cannibali e altri affatto mai e come mai cannibali sono la totalità degli individui dei gruppi etnici in cui il cannibalismo è praticato e nessun individuo (salvo veramente rarissime eccezioni) lo è dove il cannibalismo non è praticato? E come mai gruppi umani praticano ancor oggi, da millenni, forme di cannibalismo mentre altri gruppi umani risulta che non lo abbiano mai praticato nella loro storia?
“Dal punto di vista privilegiato degli scienziati vittoriani, l’evoluzione appariva come una scalata ad una montagna, dall’alto della quale i popoli civilizzati potevano guardare alle varie epoche di schiavitù e di barbarie, che le culture “inferiori” dovevano ancora attraversare” (Harris M., 1997, p.9).
Ma la ricerca biologica, paleontologica e antropologica hanno dimostrato che la realtà storica è stata un’altra.
In primo luogo l’attuale specie umana dell’ “homo sapiens” è comparsa nel pianeta molte migliaia di anni fa (la datazione dell’origine è ancora dibattuta, mentre si sa che i cromosomi della specie sono rimasti gli stessi e che quindi il cervello è geneticamente il medesimo delle origini).
Si sa che nel paleolitico superiore, nell’era geologica del pleistocene, più o meno tra i 30.000 e i 13.000 anni fa, all’epoca della grande savana e della megafauna, nella fascia centrale del pianeta (le calotte a nord e a sud erano ricoperte di ghiacci e molto più estese delle attuali) vivevano vari gruppi umani in un habitat uniforme, secondo analoghe modalità di vita. Era l’epoca dei cosidetti “cacciatori raccoglitori”, che le ricerche, effettuate sui reperti anatomici ritrovati, mostrano aver goduto di un notevole benessere biologico, esito di una ricca alimentazione, di un habitat abbastanza confortevole e di condizioni di vita poco gravose (la ricchezza floro-faunistica e la bassa densità della popolazione rendevano facile il procacciamento della risorse per la sopravvivenza; pare, sulla base di ritrovamenti, che anche la carne più che altro la raccogliessero senza fatica in luoghi dove i grossi animali cadevano spontaneamente dai dirupi o colà venivano sospinti a macellarsi).
Con la fine del pleistocene la graduale estinzione della megafauna e le variazioni climatiche, che dettero al pianeta gli assetti geo-metereologici attuali, i gruppi di esseri umani si trovarono man mano ad abitare zone ambientali differenti del pianeta, con climi, geologia, flora e fauna diversificati, divisi dalle acque e dalle montagne. Alcuni gruppi rimasero del tutto isolati dagli altri, altri invece mantennero maggiori o minori possibilità di qualche interazione.
Fu in questo periodo che gli umani dovettero ingegnarsi ha trovare modalità di sopravvivenza diverse in rapporto con i diversi e specifici ambienti in cui vivevano.
Mentre la comparsa della nostra specie deriva dalla evoluzione darwiniana basata sulla selezione naturale, l’origine delle culture avviene per una forma di evoluzionismo mentale e gruppale.
Harris espone e sostiene, insieme a molti altri la teoria neodarwiniana del determinismo storico, appunto come teoria generale dell’origine e dello sviluppo delle culture, dalla quale possono derivare le spiegazioni degli sviluppi delle culture specifiche.
A partire dalle cosiddette “costrizioni materiali”, cioè le necessità di sopravvivenza da una parte e le condizioni di fatto dell’ambiente dall’altra, gli esseri umani dei diversi gruppi umani, attraverso un processo evoluzionistico darwiniano di variazione-selezione-duplicazione elaborano tecniche di sopravvivenza specifiche.
Si parla di determinismo in quanto l’evoluzione avviene attraverso un lento e inintenzionale processo di interazione e di selezione di modalità di sopravvivenza e di vita conseguente. Questa evoluzione si verifica anche per tutte le forme di vita, che caratterizzano un determinato gruppo etnico: le religioni, i miti, le ideologie, le mentalità, le strutture sociali e di parentela, i ruoli, le norme, le identità degli uomini, delle donne, dei giovani e dei bambini, i sistemi di allevamento si evolvono in concorso reciproco e in strette relazione di dipendenza dalle tecniche di sopravvivenza e dalla struttura culturale relativa nel suo complesso.
Questa teoria, detta anche “materialismo culturale”, sempre più suffragata dalla ricerca, evidenzia sia che è del tutto non corrispondente a realtà la teoria di uno sviluppo lineare dell’umanità da stadi più primitivi a stadi più evoluti, ma anche che a variabili simili tendono probabilisticamente a corrispondere simili sviluppi culturali in un quadro di multilinearità evolutive.
Nelle società cannibali gli dei sono a loro volta cannibali i componenti di tali società hanno una mentalità che comprende l’ideazione cannibalica, la quale giova alla pratica del cannibalismo, che è peraltro di buona creanza.
Al tempo stesso il cannibalismo era ed è praticato in generale da gruppi che vivono in ambienti ove la carenza floro-faunistica naturale e le possibilità di sfruttamento dell’ambiente con tecnologie semplici implicano una grossa povertà alimentare in generale e specificamente rispetto all’apporto proteico, essendo il cannibalismo interno (dei cadaveri) praticato da popolazioni isolate e quello esterno predatorio (di prigionieri di altre popolazioni) praticato da popolazioni confinanti con altre più prospere e miti.
Harris spiega che due fattori sono di cruciale importanza nelle popolazioni: la disponibilità di risorse, che dipende dall’ambiente e dalle tecnologie sviluppate, e la densità della popolazione, giacché i due fattori determinano il prodotto pro capite.
La variazione degli assetti culturali è sostenuta e stimolata dalla spinta di questi due fattori: quando le popolazioni elaborano tecnologie di sopravvivenza queste tendono a permettere un maggiore e migliore sfruttamento dell’ambiente e maggiori e migliori risorse; più risorse migliorano le condizioni di vita; migliori condizioni di vita determinano tendenzialmente un aumento della densità della popolazione per più lunga sopravvivenza e maggiore natalità; tale incremento aumenta a sua volta la richiesta di risorse e l’intensificazione dello sfruttamento fino all’impossibilità di mantenere una proporzione tra popolazione e risorse, per riduzione o esaurimento delle risorse ottenibili con determinate tecnologie; a questo punto subentrano spinte al cambiamento, giacché o si trovano nuove tecnologie o la società va incontro ad un declino fino alla possibile estinzione.
In questo contesto un fattore rilevante è quindi l’aumento della densità della popolazione che è per natura direttamente proporzionale al numero delle femmine ingravidabili: in mancanza di tecniche anticoncezionali, il controllo delle femmine è ciò da cui può dipendere il controllo delle nascite.
Dallo stato di maggiore o minore omeostasi popolazione-ambiente, dipendente da vari fattori, dipende il destino della considerazione della donna come soggetto necessitante di maggiore o minore controllo e il parallelo complesso della supremazia maschile.
Le ideologie intervengono inconsapevolmente a giustificare lo status sociale della donna, influenzando l’allevamento delle femmine.
Analoghe considerazioni si possono fare per l’uomo in relazione a molteplici fattori: se la guerra è una tecnologia di un etnos, l’uomo dovrà essere coraggioso, aggressivo. forte; se è la pesca a prevalere l’uomo dovrà essere paziente, tenace, resistente.
Le società, per selezione darwiniana, selezionano modalità di allattamanto, di svezzamento, di considerazione e di educazione dei bambini e delle bambine tendenti a produrre le mentalità degli adulti più adeguate ai ruoli previsti.
Harris studia particolarmente la relazione tra le abitudini e i tabù alimentari e le culture in cui hanno luogo, dimostrandone con evidenza la stretta interdipendenza.
Per inferenza e sulla scorta di dati tratti dalle osservazioni degli antropologi, analogo studio si può fare per la sessualità, per lo sviluppo e per le identità di genere. La sessualità cioè si inserisce in questo quadro, nell’ambito di una evoluzione delle mentalità in generale.
Dopo questo preambolo, possiamo ritornare alla teoria freudiana della sessualità.
Alla luce dei dati che la ricerca antropologica ha raccolto, si può intanto affermare che è contrario a questi la teoria di uno sviluppo fisiologico (îÓÛÈÛ = natura) e quindi anche dello sviluppo fisiologico della sessualità, mentre i dati mostrano che a sequenze simili di allevamento in simili strutture istituzionali primarie e secondarie corrisponde l’evoluzione di mentalità simili a tutti i livelli, compreso e connesso quello sessuale e delle identità relative di genere.
I dati antropologici peraltro confermano la fondamentale scoperta feudiana dello sviluppo individuale in un continuum dal neonato all’adulto, in una sequenza, in cui lo sviluppo è inintenzionale e con componenti inconsce sia nel bambino, sia negli adulti, che tendono a determinarlo.
La concezione di normalità e patologia, di ciò che va bene e ciò che non va bene è presente in tutti i gruppi etnici, con la particolarità che i criteri discriminanti sono diversi, e quindi una mentalità, che può essere considerata normale in un gruppo etnico, può essere considerata patologica e deviante in un altro e viceversa.
Lo studio etnocomparativo delle società dimostra che l’identità del maschio e della femmina, attribuite ai soggetti e vissute per identificazione dai soggetti stessi le modalità di relazione e di rapporto sessuali, financo a livello della selezione delle parti anatomiche interessate o delle modalità del coito, sono diverse ed etnico-specifiche.
Lo studio delle società più semplici, meno variate al loro interno che hanno semplici o poco diversificate tecniche di sopravvivenza, con pochi ruoli degli adulti, spesso con un solo ruolo della donna, come nelle culture degli indiani dell’america del nord o in quelle degli indigeni amazzonici o in quelle degli indigeni dell’oceania, permette di osservare chiaramente la diversa “normalità” della sessualità e delle relazioni maschio femmina di ciascuna e la grande uniformità sociale dei sistemi di allevamento. Nelle società più semplici il parto e i primi momenti di vita del neonato sono diversi in ogni etnos, ma in ciascuno uniformi e ritualizzati; l’allattamento e lo svezzamento seguono anch’essi uniformi modalità; così pure la socializzazione, il processo di sviluppo e i riti di passaggio all’età adulta.
Tra i tanti esempi che si potrebbero fare, si presta bene quello degli Aranda, popolazione dell’Australia centrale, la cui osservazione è stata fatta anche direttamente da Roheim e da lui riportata molto dettagliatamente (Roheim G.,1950).
Gli Aranda vivono a livello tecnologico del neolitico in una zona semidesertica del centro australiano, dove dopo molti mesi di siccità totale comparve una breve stagione delle piogge, che sono violente e provocano inondazioni del terreno sassoso e sabbioso, salvo che l’acqua sia rapidamente assorbita e rimanga soltanto in profonde falde.
Gli Aranda sono nomadi e vivono in piccoli accampamenti di capanne, che vengono erette in fretta con rami piantati nella terra e legati in cima e abbandonate come sono quando la tribù si sposta; nell’accampamento sono presenti i pochi oggetti di cui si servono, in primo luogo le lance e i boomerang, quindi coltelli d’osso e di pietra, macine e pochi altri oggetti di pietra di uso domestico.
La giornata degli Aranda, uomini donne e bambini, consiste soprattutto nella ricerca di cibo.
Gli uomini adulti, armati delle lance (aste con punte di pietra legate con un tendine) lasciano il villaggio e a piccoli gruppi vanno a caccia di canguri e di emù. Entrambe le cacce sono difficili, richiedono grosso sforzo per la ricerca e per estenuanti inseguimenti degli animali feriti, e spesso si concludono senza alcuna preda.
Mentre la caccia è per l’uomo, le donne e i bambini si dedicano alla raccolta, di patate selvatiche, che scavano con un bastone (arma delle donne), di foglie carnose, di lucertole, vermi, larve, formiche da miele e miele di api selvatiche.
Quando dei cacciatori hanno una preda tornano e la portano al villaggio con un reiterato rituale: prima i cacciatori nascondono la preda dietro un arbusto nei pressi delle capanne, quindi entrano nell’accampamento e dicono con espressione indifferente “Avevamo della carne cattiva, l’abbiamo gettata dietro quel cespuglio”. Gli anziani si precipitano a prendere la preda e inizia il festino, con precise regole di distribuzione della carne e di priorità agli anziani; la distribuzione è curata dal suocero e dal cognato della moglie del cacciatore, che l’ha presa.
Il sistema di parentela è molto complicato, basti qui dire che le donne e gli uomini si dividono in otto classi e che per ogni individuo solo l’appartenente a una classe è un possibile marito o moglie, mentre gli altri sono tabù.
Il parto avviene con l’aiuto di cugine della puerpera e se nasce un maschio la sorella della madre cattura un centopiedi e con questo percuote il bambino e poi gli mette l’animaletto sul pene, perché altrimenti avrebbe l’erezione ogni donna vedesse e questo sarebbe un guaio.
Successivamente il figlio rimane attaccato alla madre e al suo seno, che può prendere quando ne abbia voglia e in seguito mordicchiare e titillare a suo piacimento. Non viene praticato alcuno svezzamento e il figlio passa gradualmente ad altri alimenti di sua iniziativa dopo molti mesi. Anche quando il figlio cammini e sia più autonomo e abbia anche la madre avuto un altro figlio, è sempre libero di suggere il seno materno e anche di accarezzare o tormentare la madre, che mai si oppone e assume una oblativa passività.
Accade peraltro che il piccolo continuando a suggere tolga alimento al successivo genito e che questi muoia di denutrizione, senza che neanche qui la madre si opponga. In periodi di carestia compare anche l’abitudine da parte della madre di uccidere, arrostire e mangiare insieme agli altri figli il figlio più piccolo.
In pratica il figlio condivide con la madre la penuria alimentare (anche il latte è scarso e non ricco, data la non buona nutrizione della madre), la quale peraltro si assoggetta di buon grado alle voglie fameliche e di sfogo del figlio.
Osserva Roheim che questo allevamento tende a generare una sorta di ottimismo orale,che corrisponde al carattere degli adulti, che appaiono e si vivono indifferenti alla fame e alla fatica, solidarmente identificati e sempre disposti a dividere il cibo, mentre l’aggressività è prevalentemente fortemente scissa e repressa da un super-Io molto coriaceo e introiettato e deviata ed esercitata a fini sociali.
Anche sul piano sessuale, per i maschi, la madre è oggetto libidico e al tempo stesso oggetto sovrastante: vige infatti l’abitudine che le madri facciano sdraiare i bambini e siedano sul loro pene. Bambini e bambine sono peraltro liberi di toccarsi e di esprimersi fino a che la pubertà trasforma i rapporti in rapporti sessuali e l’interesse si sposta dalla madre ai ragazzi e alle ragazze reciprocamente, che hanno libere relazioni masturbatorie.
Tutto questo prosegue fino al momento della iniziazione, che per le femmine coincide nella incisione dell’imene e nell’allargamento della vagina, mediante un taglio, praticato da uomini adulti.
L’iniziazione del maschio è più lunga e complessa. Inizialmente il giovane viene picchiato a sangue dagli uomini che gli ricordano i divieti tribali rispetto alle donne tabù e alla dipendenza dagli anziani e dalle regole. Successivamente, dopo un rito, che simboleggia il seppellimento della anima di ragazzo nel “ventre del cielo”, gli adulti praticano al giovane prima la circoncisione e quindi la subincisione del pene. La prima si conclude con il regalo del prepuzio tagliato alla madre (se ancora viva) o a un’altra donna (della classe della madre), che tintolo d’ocra ne orna il proprio bastone da patate. La seconda consiste in un doloroso e sanguinoso taglio dell’uretra a livello dell’inserzione del pene con lo scroto, con il sangue che scorga e che raccolto nello scudo di un fratello maggiore (un maschio della classe dei fratelli), viene regalato alla madre e alle donne della classe della madre, che se lo spalmano sulla fronte e sui seni.
Dopo l’iniziazione il maschio sarà adulto, andrà a caccia e si catturerà una moglie. Tale cattura della moglie ha una forma rituale di ratto con stupro (agito davvero con vera aggressività), giacché la femmina, anche se spesso predestinata, si oppone al rapporto con il maschio ed è difesa dal padre, che se si avvede del tentativo di ratto scaccia a bastonate il maschio, potendo arrivare anche a ucciderlo. Allo stupro riuscito subentra la cerimonia di matrimonio e la donna va a stare nella capanna del marito, dove ancora, ritualmente per molti giorni si oppone ai rapporti sessuali, alzandosi, all’entrata del marito, e tornando a dormire nella capanna della madre; questa volta il marito pazientemente aspetta che la moglie diventi gentile, dopo averle portato abbondante carne. I rapporti sessuali normali avvengono con lui in ginocchio e lei sdraiata sul dorso e al posto dei baci, che non sono affatto usati, lui sfrega con il volto il seno di lei.
Questa popolazione si conserva in equilibrio di densità da millenni, in una vita praticamente senza storia, solo con piccole variazioni nei riti e nella struttura sociale (pare ad esempio, che anticamente le classi di uomini e donne fossero in minor numero, quando evidentemente tali classi hanno la funzione di regolare il rapporto uomo-donna, limitando il numero di donne accoppiabili e quindi le possibili gravidanze).
L’intera struttura psicosociale appare concorrere a mantenere questo rapporto con l’ambiente. Da una parte l’ambiente difficile e la penuria alimentare e la vita faticosa e stentata, d’altra parte strutture sociali improntate alla solidarietà e alla distribuzione delle risorse, sostenute da una mentalità diffusa uniforme,che implica una grossa capacità di resistenza alla frustrazione da parte degli adulti e una massiccia oblatività reattiva. Gli Aranda dicono di avere ciascuno un proprio doppio che vive felice eternamente in una sorta di paradiso terrestre, nel “ventre del cielo” dove sono finiti il bambino e il ragazzo, dopo un’infanzia e una pubertà “drogati dal rapporto con la madre e con la società fino a quel punto permissiva oltre misura, che hanno comportato una evoluzione scissa di sadismo e masochismo. Nell’infanzia infatti non viene comminata alcuna frustrazione da parte degli adulti non venendo esercitato da parte loro alcun controllo (neppure sul controllo anale e uretrale), ma che viene esercitata inevitabilmente dall’ambiente, sia come penuria alimentare e relazionale, sia come ambiente materno passivamente oblativo e però indifferente alla loro fine. L’infanticidio antropofago, che sul piano dell’istituzione, contribuisce ad una chiara regolazione demografica, presentifica la rappresentazione di mangiare essere mangiati, che è dominante nella intera esistenza degli Aranda.
Per mangiare bisogna “essere mangiati” e ciò deve avvenire nell’indifferenza, senza angoscia: la madre si lascia “mangiare” dal bambino, l’adulto maschio si lascia “mangiare” da tutti (mentre la madre sopporta i figli e la penosità della sua vita indigente, l’uomo si sottopone al suo martirio nella caccia). Entrambi uomo e donna hanno un buco (viene chiamata vagina anche l’apertura della subincisione) e entrambi hanno il seno-pene-lancia-bambino, entrambi danno e ricevono.
L’iniziazione di fatto implica la sottomissione al dovere sociale sia per l’uomo, che per la donna, il dovere della caccia e il dovere della filiazione, che per entrambi è improntato al sacrificio. E l’iniziazione implica la rituale, ma effettivamente dolorosa separazione, simbolizzata, ma anche reale, dalla libertà e dal non controllo dell’infanzia. Lui lo sa e spesso tende a scappare e gli adulti lo catturano e lo trascinano al rito; anche lei sa il futuro che l’attende e con ciò si spiega la sua rituale, ma sentita, opposizione al matrimonio, preludio alla filiazione, che lui ormai cacciatore dovrà dimostrare di saper vincere.
Lo sviluppo della sessualità adulta, secondo modelli specifici e ritualizzati, e prima lo sviluppo della sessualità infantile, rientrano in un contesto psicodinamico di gruppo etnico, mediato dalle istituzioni sociali primarie e secondarie, che costituisce l’assetto integrato, che questa popolazione ha selezionato per la sua sopravvivenza e continuità.
Roheim compara sinteticamente i modelli di sviluppo degli Aranda con quelli di una popolazione dell’Oceania, gli abitanti di Normanby, che ha tecnologie di sopravvivenza del tutto diverse, basate sulla cultura ortofrutticola (la tabella che segue è tratta, con piccole variazioni linguistiche da Roheim G.,1950, p.192):
ARANDA | INDIGENI DI NORMANBY |
mancanza di frustrazione orale | situazione ritualmente interrotta |
mancanza di svezzamento | brusco svezzamento con trasferimento del neonato dalla zia |
incestuosità con la madre | minacce di castrazione da parte del padre e stimolazioni genitali da parte dello stesso |
fratelli uccisi e divorati | nessuna forma di antropofagia |
nessun controllo anale e uretrale | i bambini vengono puniti se non defecano e urinano nelle apposite fosse |
la masturbazione non è repressa | minacce di castrazione per la masturbazione |
mancanza di latenza | presenza del periodo di latenza |
nudità totale | vergogna per la nudità |
patrilinearità e patrilocalità | patrilinearità e matrilocalità |
Da queste sequenze si evince chiaramente una sequenzialità nello sviluppo e una profonda differenza fra gli esiti dello sviluppo stesso, che delle basi di questo.
Mentre una sequenza è tipica in una popolazione, l’altra è tipica dell’altra e gli esiti corrispondono ad aspetti della mentalità presenti negli adulti nell’una e non nell’altra popolazione.
Quale motivo potrebbe sostenere il fatto che l’assetto dell’adulto sia basilarmente dovuto ad aspetti biologici e quindi che la psicologia infantile, da questi sostenuta e determinata, determini a sua volta la mentalità dell’adulto?
Per quale motivo i bambini di altri gruppi etnici crescono con una mentalizzazione così diversa e per quale motivo gli adulti di popolazioni diverse si comportano così diversamente con i bambini?
Mi sono riferito a degli esempi tratti da Roheim, anche perché Roheim li porta per sostenere l’universalità delle dinamiche psicologiche da Freud scoperte, ma l’inserimento dei dati riportati nella teoria del determinismo storico evolutivo si presta viceversa a confermarla.
In effetti la teoria della universalità delle dinamiche mentali e la teoria della specificità degli sviluppi non sono di per sé stesse incompatibili.
Il fatto che la mente abbia potenzialità di sviluppo indipendenti dalla storicità dello sviluppo (probabilmente poggiati su potenzialità comuni del cervello) non significa che vi sia uno sviluppo fisiologico e che lo sviluppo non sia storicamente determinato entro il gruppo in cui avviene, sia a livello dei genotipi mentali (primari, inconsci), che dei fenotipi mentali. E le universali potenzialità non implicano che lo sviluppo sessuale, sia in senso stretto (identità e rapporti di uomini e donne), sia in senso lato (comprese le componenti inconsce di origine primaria e transfert relativi) non siano correlati e connessi al gruppo in cui avvengono, senza che vi sia la possibilità di delineare aprioristicamente una fisiologia, diversa da una patologia.
In ogni gruppo etnico c’è una sessualità normale (che va bene) e delle sessualità anormali (che non vanno bene) e gli appartenenti alle diverse etnie soffrono (hanno stati patologici) quando la loro mentalità non trova integrazione e accoglienza nelle relazioni con gli altri e con la società.
La teoria della sessualità di Freud dovrebbe essere titolata “la teoria della sessualità nella società occidentale in epoca vittoriana: dinamiche profonde e inconsce dello sviluppo normale e deviante dei bambini e delle bambine in rapporto al gruppo etnico”.
Allora Freud avrebbe scoperto (come effettivamente ha scoperto) l’esistenza delle dinamiche sottese allo sviluppo e alla socializzazione e alle identità sessuali, senza la pretesa di elevare a sistema fisiologico un modello di sviluppo storicamente e culturalmente determinato, né il bisogno di ipotizzare una base biologica alla fisiologia e alla patologia mentale, che sono più concetti morali, che non scientifici.
Anche la nostra cultura non sfugge alla sua storia di evoluzione.
La nostra cultura è stata una delle culture a tecnologia agricolo-idraulica e pastorale, cioè che ha sfruttato il suolo con acque irrigue, intorno a grandi fiumi ed è stata dedita all’allevamento di bestiame da carne e da latte, non presente in molte altre parti del mondo.
Tipiche di queste culture (cinese, giapponese, indiana) sono una struttura sociale piramidale (con al vertice una classe originata da una popolazione guerriera che ha sottomesso altre popolazioni limitrofe, che, assoggettate, costituiscono i servi e i contadini) e la guerra come mezzo espansionistico imperiale. La guerra peraltro è strettamente correlata al complesso della superiorità maschile (si veda Pauletta d’Anna G.M., 1996 a), cui fa riscontro il controllo e la sottomissione sociale della femmina. Questo sistema economico-sociale-psicologico si è mantenuto nella sostanza per secoli, al di là della storia di contrasti interni, di ricambio delle classi dominanti e della lenta evoluzione tecnologica, che fino alla rivoluzione industriale non aveva cambiato radicalmente la struttura culturale (la fine del feudalesimo si compie nell’800).
I ruoli sociali funzionali socialmente sono stati per molto tempo relativamente pochi: per l’uomo fondamentalmente l’aristocratico, il soldato, il contadino, il servo, il funzionario, il commerciante, il tecnico, il prete, per la donna la moglie, la madre, e la suora per le classi dominanti e la moglie, la madre, la serva e la contadina per le classi sottomesse.
La rivoluzione industriale e lo sviluppo tecnologico conseguente hanno modificato radicalmente le tecnologie di sopravvivenza e l’imperialismo tecnologico ha soppiantato sia la prevalenza agricolo-pastorale sia la guerra e si è strutturata una cultura moderna dove valori sociali e tecnologie si sono molto modificati.
I sistemi tradizionali di allevamento, di socializzazione primaria e secondaria, le identità e i valori propri dell’epoca passata sono caduti in concomitanza con un diverso sviluppo socio economico.
La nostra cultura vive una profonda trasformazione in una transizione verso un futuro ancora incerto: si sa che non sarà come ieri né come oggi, ma non si sa come potrà effettivamente essere, giacché l’innovazione tecnologica appare in continuo sviluppo. Le attività dell’uomo e della donna sono cambiate e diversificate molto, con la donna che va a ricoprire tendenzialmente le medesime attività dell’uomo, alla pari con lui sulla base dei fatti che per le attività moderne la macchina sostituisce la forza fisica e le competenze tecnico-scientifiche hanno la maggiore importanza rispetto al controllo sociale, tipico del passato.
Le moderne tecnologie di allevamento, come l’allattamento artificiale, la socializzazione della gestione dei bambini (nidi, asili, scuole) e soprattutto il moderno impiego di facili sistemi anticoncezionali fanno si che mai come oggi la densità della popolazione non sia affatto più proporzionale al numero delle femmine ingravidabili teoricamente.
E’ nota un’equazione per cui nelle società omeostatiche la variabilità individuale è minima, mentre nelle società in trasformazione la variabilità individuale è elevata.
Ecco che la psicologia concorre a fare la sua parte in concorrenza con gli altri fattori etnici. Le mentalità e le identità sessuali si modificano e si evolvono al di fuori degli schemi precedenti, la diversità è tollerabile, anzi può essere funzionale al trend di sviluppo di diversificazione dei ruolo e di emergenza di attività nuove. Le storie individuali prevalgono sulla storia etnica, in quanto la cultura necessita molto meno di controllare l’allevamento e lo sviluppo e di emarginare la devianza. L’attività ludica, niente affatto funzionale ad impieghi produttivi (come lo sport, lo spettacolo, gli hobbies) riempie spazi liberi in un contesto di diffuso benessere.
E l’attività sessuale rientra negli spazi ad libitum e ciascuno è essenzialmente libero di praticare il sesso come vuole, di avere miti maschili e femminili, come preferisce e come può (cioè come la storia gli permette). Chi non ha strutture mentali, che gli permettono di approfittare delle moderne libertà, può cercare di modificarle andando dallo psicoanalista.
Lo psicoanalista, e lo psicologo in generale, sostituiscono altre figure psicologiche, presenti in altre epoche o in altre culture, i preti e gli stregoni, ma mentre i secondi hanno sempre svolto la funzione di esorcizzare le devianze e di ricondurre la pecorella smarrita nel gregge della norma (i preti attraverso rituali ossessivi espiatori, di rafforzamento super-egoico), gli psicoanalisti e gli psicologi tendenzialmente possono permettersi di aiutare i sofferenti (pazienti) a ripercorrere il loro sviluppo e a rielaborare ulteriori dinamiche mentali e diverse mentalità.
Non a caso psicologia e psicologi sono presenti solo nelle società occidentali o in enclavi di cultura occidentale da questa colonizzate: nelle società permeate dalla norma religiosa, cioè da un sistema onniesplicativo e normalizzante non è infatti tollerabile né la libertà individuale dalla norma né il rischio che la norma venga posta in discussione.
Da parte dello psicoanalista peraltro si pongono problemi teorico-clinici non di poco conto.
Dalla teoria sessuale di Freud derivava l’idea (la fantasia) di poter analogizzare la psicoanalisi al modello medico e quindi riportare il paziente ad un fisiologico sviluppo e in linea con queste teorie era la metodologia del trattamento psicoanalitico di Strachey (Strachey J., 1934) basata sul rafforzamento del super-io.
Quali sono le idee degli psicoanalisti oggi? Di guarire? Di normalizzare? Di lenire la sofferenza? Di portare al rapporto oggettuale di conoscenza? Di favorire una maggiore integrazione relazionale? Di favorire il maggiore godimento libidico? Di inserire nel modello, che inconsapevolmente ha in mente l’analista e che deriva dalla sua storia mentale?
Quale bambino e quale bambina vanno bene nella nostra cultura moderna? e quali relazioni valgono a produrli? Quale adolescente va bene e quali relazioni primarie e secondarie lo favoriscono? Quale mentalità sarebbe bene che avesse un uomo e quale una donna? Quali forme dovrebbe avere il rapporto sessuale? E perché?
Freud pensava di avere delle risposte a queste domande, che probabilmente non erano risposte scientifiche, ma risposte culturali elaboratesi nella sua sua cultura.
Gli psicoanalisti di oggi penso che sarebbe meglio che smettessero di far finta di saperlo e si interrogassero sui rapporti che le teorie dell’anima e della psiche hanno con la cultura, invece di rinchiudersi sempre più nella loro stanza.
In effetti l’enfasi posta da Freud sullo sviluppo sessuale ha posto l’accento sulla derivazione dell’adulto dal bambino e siamo molto affascinati all’idea che dalle fasi neonatali si possa spiegare ogni successiva evoluzione.
Ma in effetti non ci dobbiamo dimenticare che i bambini nascono dagli adulti e che in dipendenza dagli adulti crescono e che questi sono interni ai gruppi in cui hanno vissuto, sono cresciuti e si sono formati.
I rapporti sessuali da cui nascono i bambini sono strettamente collegati alle identità del maschio e della femmina e preludono al loro allevamento, essendo le identità del maschio e della femmina e dei genitori peraltro il riflesso di un intero sistema.
La connessione mente-gruppo è stretta. L’orientamento psicoanalitico relazionale ha incrementato la conoscenza delle derivazioni relazionali dello sviluppo della mente, ma ha trascurato la dimensione gruppale in cui le relazioni avvengono e le influenze del gruppo sulle relazioni e quindi sullo sviluppo della mente.
Un esempio eclatante può venire dal problema della omosessualità, che si è imposto all’attenzione e non appare più riducibile alla teoria delle perversioni freudiana e su tutta la teoria della sessualità.
Un dato è certo, a smentire la previsione freudiana che prognosticamente ipotizzava per gli omosessuali una tendenza intrinseca al degrado sociale e produttivo: oggi abbiamo ministri omosessuali, ingegneri omosessuali e persino psicoanalisti omosessuali......, i quali non sono meno sociali e civili di altri, né meno produttivi.
La stessa cosa vale per i personaggi importanti socialmente, dediti in privato alle classiche perversioni, come il feticismo, il voyerismo, il sadomasochismo, l’esibizionismo.... .
Che le forme di sessualità non siano molto diverse dagli hobbies, come il bridge, il collezionismo, il golf...?
Le ricerche sulla omosessualità mostrano (si veda quanto riferisco anche su ricerche americane su larga scala, Pauletta d’Anna G.M., 1996 b) che specifici e tipici fattori presenti nel gruppo primario (mentalità e comportamenti della madre e del padre) tendono con alta frequenza a determinare uno sviluppo omosessuale.
Ma forse la tendenza alla coppia monogamica e alla sacralità indissolubile del matrimonio non erano determinati da fattori presenti nel gruppo primario?
Come mai i figli e le figlie dei cristiani sono orientati alla monogamia e i figli e la figlie dei mussulmani lo sono alla poligamia maschile?
E’ certamente possibile vedere in ogni forma di sviluppo (e l’incipiente esperienza clinica con gli immigrati è un osservatorio importante) un processo relazionale, che da esito alla specifica forma mentale di ogni soggetto (e qui l’osservazione picoanalitica è fondamentale), ma ciò non comporta affatto la deduzione, che alcuna forma sia naturale per natura.
Da ciò almeno una ricaduta clinica è conseguente per l’assetto mentale dello psicoanalista: una maggiore neutralità, una maggiore distinzione dal modello medico, una minore supponenza, una maggiore coscienza di un ruolo consulenziale, utile a trovare per ogni soggetto possibilità di relazione e di sviluppo a lui più congegnali, funzionali, soddisfacenti, compatibili con la sua biologia, con la sua storia e con l’ambiente in cui vuol vivere, in una cultura che lo rende possibile.
Note bibliografiche
FREUD S. - 1905 - Tre saggi sulla teoria sessuale, O.S.F., Boringhieri, Torino, vol.4
FREUD S. - 1921 - Psicologia delle masse e analisi dell’io, op. cit., vol. 9
HARRIS M. - 1977 - Cannibali e re. L’origine delle culture, Feltrinelli Ed.,
Milano, 1979
JACQUES E. - 1955 - Sistemi sociali come difesa contro l’ansia persecutoria e depressiva. Contributo allo studio psicoanalitico dei processi sociali, in Nuove vie della psicoanalisi (Klein M. et al., a cura di), Il Saggiatore, Milano, 1966.
MALINOWSKY B. - 1927 - Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi , Boringhieri, Torino, 1978.
MEAD M. - 1928 - L'adolescenza a Samoa, Ed. Universitaria, Firenze, 1954.
MURDOCK G. - 1967 - Ethnographic Atlas, University of Pittsburg Press, Pittsburg.
PAULETTA d’ANNA G.M. - 1966 a - Perché la guerra? Attuali teorie antropologiche e considerazioni psicoanalitiche, in Sulla relazione e sul gruppo, Il Segnalibro Ed., Torino.
PAULETTA d’ANNA G.M. - 1966 b - Il teatro agorafobico della omosessualità: un’evoluzione della sessualità nelle relazioni del gruppo famigliare, op. cit..
ROHEIM G. - 1950 - Psicoanalisi e antropologia, Rizzoli Ed., Milano, 1974.
STRACHEY J. - 1934 - La natura della azione terapeutica nella psicoanalisi, Riv. di Psicoanalisi, 20, 1974, 92-126.
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