Come la mafia gestì la liberazione


14.5.13

ALLEATI DI MAFIA DAL 1943… CONTRO L’ITALIA



invasione della Sicilia - foto Robert Capa




di Gianni Lannes



Democrazia inquinata alle radici. Fa niente se i professionisti dell’antimafia perderanno la loro attività ben remunerata di sproloquio a reti unificate che perdura da decenni. La verità sul destino di asservimento di un popolo e di un Paese è sempre sconvolgente, soprattutto quando non è riportata dai libri di scuola ed è imposta da stranieri in armi. In particolare quando si tratta della tua gente che sopravvive eterodiretta da tanto, troppo, e non osa alzare la testa, ma dovrebbe a buon diritto. 

Se avessimo a disposizione una macchina del tempo, sarebbe doveroso tornare all’estate del 1943, ed approdare su una grande isola italiana, per provare a chiarire qualche mistero odierno (alla voce connivenza istituzionale e complicità) sull’occupazione straniera del nostro Paese.

Quali oscure operazioni di spionaggio si celavano dietro lo sbarco anglo-americano in Sicilia del '43? Per invadere la Sicilia, gli anglo-americani, scesero a patti con Cosa Nostra. Parentesi: come ai tempi ingloriosi dello sbarco dei Mille, finanziato e protetto dalla massoneria anglosassone in accordo con la mafia dell’epoca. In tempi più recenti la conquista dell’isola fu sostenuta dalla collaborazione della mafia con i servizi segreti nordamericani. Chi furono i protagonisti di questo accordo sotto banco? Chi erano le spie sbarcate con le truppe del generale Patton? E perché migliaia di soldati italiani si arresero già al primo giorno dell’invasione, due mesi prima dell’8 settembre?

I retroscena vanno dall’accordo tra intelligence di Washington ed il boss mafioso Lucky Luciano per liberare il porto di New York dalle spie naziste e fornire notizie sulla Sicilia, al Piano Corvo, la pianificazione “politica” dello sbarco; dagli inquietanti ritratti dei mafiosi italo-americani e siciliani che popolavano la scena del crimine durante la seconda guerra mondiale, agli uomini del Naval intelligence e dell’OSS e le loro operazioni segrete in Trinacria; dall’insediamento del governo militare alleato alla riorganizzazione della mafia, alla delega dei poteri ai boss locali.

Grazie al gangster Lucky Luciano lo Zio Sam si assicurò il via libera all'operazione Avalanche, una delle tre con cui invasero l'Italia, concedendo in cambio che la mafia ritornasse a governare indisturbata il territorio siciliano, e da lì estendesse i suoi tentacoli al resto d’Europa e del mondo.

I militari U.S.A. erano giunti in Sicilia il 10 luglio 1943, ma già sapevano che si trattava di un luogo speciale. C’è un rapporto del capitano W.E. Scotten consegnato 70 anni fa al generale Usa Julius Holmes: un documento intitolato Memorandum sul problema della mafia in Sicilia. Il documento porta la data del 29 ottobre 1943 - sei pagine custodite nei National Archives di Londra - c´è la prova di un accordo cercato dagli agenti segreti statunitensi e britannici con la mafia siciliana. Uno dei primi, uno dei tanti.
È un documento in cui si ritrovano le tracce di un negoziato fra gli apparati di sicurezza e le "famiglie", sicuramente la genesi di un patto che porterà in Italia - anno dopo anno e strage dopo strage - all´abitudine "trattativista", al dialogo occulto fra poteri politici e poteri criminali. 

Dalla strage di Portella della Ginestra (1 maggio 1947) fino all’eliminazione di Enrico Mattei nel 1962, alla strage di Capaci e via D’Amelio nel 1992; dalle spie inglesi agli uomini dei servizi di sicurezza italiani, un intrigo che affonda le sue radici nei mesi che seguirono l´Operazione Husky, nome in codice dell´invasione alleata dell´isola.

È la storia che si tramuta in cronaca sotto i nostri occhi distratti. Vicende remote che si intrecciano con l´attualità più inquietante, le carte del passato che in qualche modo spiegano un presente nebuloso: lunghe e indisturbate latitanze di capi mafiosi (Riina, Provenzano, eccetera), covi immancabilmente protetti, complicità fra alti funzionari dello Stato, intercessioni di ministri, ufficiali dei carabinieri e assassini, massacri di Cosa Nostra e depistaggi, bombe di mafia e di Stato.

rapporto Scotten


Il capitano W. E. Scotten sapeva già tutto in quell´autunno di 70 anni fa, quando - terminata la sua missione in Sicilia - cominciò a scrivere il rapporto da consegnare al generale Holmes che da Palermo dirigeva le grandi manovre belliche sul fronte mediterraneo. Il dossier porta la data del 29 ottobre 1943 (cartella del Foreign Office 371/37327, numero di protocollo R11483) ed è stato archiviato a Kew Gardens alla fine della guerra.



Il documento pubblicato per la prima volta dallo storico Rosario Mangiameli - nel 1980 - in "Annali della facoltà di Scienze politiche" dell´Università di Catania, oggi merita di essere riletto e interpretato per tutto ciò che sta affiorando in Italia sulle collusioni di Cosa Nostra. Oggetto del rapporto: «Memorandum sul problema della mafia in Sicilia».  


E’ al paragrafo 13, la parte del dossier che conteneva le «possibili soluzioni per affrontare il problema mafia». E dove, per la prima volta, compariva quella parola: negoziato che riecheggia nell'attualità.


Dopo un´analisi della realtà criminale siciliana, il capitano Scotten suggeriva al generale Holmes come il Governo militare alleato avrebbe dovuto muoversi. E valutava tre ipotesi: «a) un´azione diretta, stringente e immediata per controllare la mafia; b) una tregua negoziata con i capimafia; c) l´abbandono di ogni tentativo di controllare la mafia in tutta l´isola e il [nostro] ritiro in piccole enclaves strategiche, attorno alle quali costituire cordoni protettivi e al cui interno esercitare un governo militare assoluto». 
L´ufficiale della Military Intelligence riferiva poi ai suoi superiori, nel dettaglio, la praticabilità delle tre soluzioni prospettate.


Il primo punto è riportato al paragrafo numero 14: «La prima soluzione - il controllo della mafia, ndr - richiede un´azione fulminea e decisiva nell´arco di giorni o al massimo di settimane (...) e l´arresto simultaneo e concertato di cinque o seicento capifamiglia - senza curarsi della personalità e delle loro connessioni politiche - affinché siano deportati, senza alcuna traccia di processo, per tutta la durata della guerra (...)». Il secondo punto è al paragrafo numero 15.


Ed è tutto dedicato alla trattativa con i boss di Cosa Nostra. Scrive Scotten: «La seconda soluzione sembra apparentemente quella il cui successo è meno garantito. Ma la sua buona riuscita dipende dall´estrema segretezza di fronte ai siciliani e al personale stesso del Governo Militare Alleato».

Così aggiunge l’ufficiale: «Dipende anche dalla personalità del negoziatore e dalla sua abilità nel conquistare la fiducia di questi capimafia da contattare sui seguenti punti: 1) l´unico interesse degli Alleati nel governare la Sicilia consiste nella continuazione dello sforzo bellico; 2) gli Alleati non desiderano interferire negli affari interni della Sicilia e desiderano restituirne il governo al popolo siciliano al momento opportuno; 3) gli Alleati acconsentono a non interferire con la mafia, a patto che questa accetti di desistere da tutte le attività riguardanti il movimento e il commercio di generi alimentari o di altri beni di prima necessità, oppure di prodotti che servono alla prosecuzione della guerra (...) e a patto che la mafia concordi nell´astenersi dall´interferire con il personale e le operazioni del Governo Militare Alleato».


Che cosa, americani e inglesi, avrebbero potuto offrire in cambio? Scotten non ha dubbi: «Questo significa l´accettazione a un certo grado, da parte degli Alleati, del principio dell´omertà, un codice che la mafia comprende e rispetta interamente». In sostanza suggerisce ai superiori un armistizio con i boss: loro non «interferiscono» con gli affari del Governo militare, gli Alleati chiudono gli occhi su tutto il resto.
La terza soluzione ipotizzata dal capitano - ritirarsi in alcune zone della Sicilia e lasciare alla mafia il controllo del territorio - è giudicata dallo stesso ufficiale «debole» e «così da essere interpretata dal nemico [la Germania nazista], dal resto d´Italia e dagli altri Paesi occupati». Una via non praticabile per Scotten: «Ciò significherebbe consegnare la Sicilia per lungo tempo ai poteri criminali».

Come poi sono andate le cose in Sicilia è noto anche ai sassi. Gli Alleati non hanno abbandonato l´isola e non hanno mai deportato un solo mafioso. Al contrario. Molti capimafia sono stati i primi sindaci nei paesi della Sicilia liberata, altri boss hanno trafficato con i grandi capi del Governo militare alleato, gli aristocratici e i latifondisti legati a Cosa Nostra sono diventati i «rispettabili» personaggi che hanno governato l´isola subito dopo il fascismo.


Il testo del capitano Scotten rivela molto di quella torbida stagione. Sul ritorno dei boss: «I contatti da me sostenuti con la popolazione siciliana, concordano pienamente sul seguente fatto: la mafia è rinata. Tale fenomeno non è sfuggito alla sezione Intelligence del Governo militare e all´inviato speciale del Dipartimento di Stato Usa Alfred Nester, ex console americano a Palermo (...) Il terrore della mafia sta rapidamente tornando e, secondo i miei informatori, la mafia si sta ora dotando di armi ed equipaggiamenti moderni, il problema si moltiplicherà creando difficoltà alla Polizia».
Sulla capacità corruttiva di Cosa Nostra: «La popolazione siciliana non crede che i carabinieri o gli altri corpi di polizia siano in grado di affrontare la mafia. Li ritiene corrotti, deboli e, in molti casi, in combutta con la stessa mafia. Carabinieri e polizia ricevono individualmente una parte dei guadagni dei vari racket, ma anche intere porzioni di questi introiti».

Sulle infiltrazioni nel Governo militare alleato: «Molti siciliani si lamentano del fatto, ed è la cosa più inquietante, che molti nostri interpreti di origine siciliana provengono direttamente da ambienti mafiosi statunitensi. La popolazione afferma che i nostri funzionari sono ingannati da interpreti e consiglieri corrotti, al punto che vi è il pericolo che essi diventino uno strumento inconsapevole in mano alla mafia».
Alla fine del suo rapporto, il capitano della Military Intelligence descrive il clima che si respira nell´isola negli ultimi mesi del 1943: «Agli occhi dei siciliani, non solo il Governo Militare Alleato non è in grado di affrontare la mafia, ma è arrivato addirittura al punto da essere manipolato.

Ecco perché al giorno d´oggi molti siciliani mettono a raffronto il Governo Militare Alleato e il Fascismo... Sotto il Fascismo la mafia non era stata interamente debellata, ma veniva almeno tenuta sotto controllo. Oggi invece cresce con una velocità allarmante e ha raggiunto addirittura una posizione di rilievo nel Governo militare alleato».

Ipoteca sulla democrazia - Potrà mai l'Italia sconfiggere il sistema mafioso che la rende succube di un'oligarchia di brutali assassini? Potranno essere riscattate le morti di persone che hanno sacrificato la loro vita per ognuno di noi con l'ideale di ripulire lo strutture dello Stato dalle sue ulcerazioni mafiose? La risposta almeno per adesso è negativa. Il motivo: il trattato di pace fra alleati e Italia fimato a Parigi nel 1947 (ratificato nel 1952) nel suo articolo 16 sostanziava questa risposta:

«Italy shall not prosecute or molest Italian nationals, including members of the armed forces, solely on the ground that during the period from 10 June 1940 to the coming into force of the present Treaty, they expressed sympathy with or took action in support of the cause of the Allied and Associated Powers (L'Italia non incriminerà né altrimenti perseguiterà alcun cittadino italiano, compresi gli appartenenti alle forze armate, per il solo fatto di avere, durante il periodo di tempo corrente dal 10 giugno 1940 all'entrata in vigore del presente Trattato, espressa simpatia od avere agito in favore della causa delle Potenze Alleate ed Associate)».

Con questo articolo i padroni Alleati proibivano al nuovo Stato italiano di perseguire penalmente quanti, dal 1940 fino all'entrata in vigore di questo trattato di pace, avessero prestato collaborazione alla riuscita dello sbarco in Italia e alle successive azioni militari e politiche sul territorio. E questo persiste praticamente fino a giorni nostri e spiega perchè nell'Italia “repubblicana” non ci sono mai stati da parte della classe politica insediata degli efficienti piani di chirurgica eliminazione del cancro mafioso. Capitolo a parte, le clausole segrete dell’armistizio corto di Cassibile.

Molti dei nuovi mafiosi furono collaboratori essenziali per gli yankees che cercavano delle strategie vincenti per invadere l'Italia. Di seguito i nomi più rilevanti: Lucky Luciano appositamente liberato dal carcere in America e portato in Italia; Calogero Vizzini, che fu il primo importante sostenitore mafioso della DC; Vito Guarrasi, che nel 1943 si trovava ad Algeri con il generale Castellano a trattare per l'armistizio; Vito Genovesi che ben presto diventerà “capo dei capi” di Cosa Nostra e che era stato interprete di fiducia del potente colonnello americano PolettiMax Mugnani, che da trafficante di droga si vedrà investito della carica di depositario dei magazzini farmaceutici americani in Sicilia; Giuseppe Genco Russo, che addirittura ottenne la croce di cavaliere della Repubblica come vittima del fascismo, dopo essere rientrato dal confino dove era stato spedito dal prefetto Mori.

La mafia si risvegliò soltanto nel 1943 in coincidenza con l'arrivo degli americani. Molti mafiosi poterono così rientrare dal confino vantando addirittura improbabili meriti antifascisti. Don Calogero Vizzini, capo supremo della nuova mafia, fu visto percorrere l'isola a bordo di una carro armato americano: indicava agli alleati gli uomini giusti da mettere alla guida dei comuni e delle province. Lo Zio Sam apprezzò particolarmente Calogero Vizzini non solo per il potere che vantava, ma anche per la sua vena antifascista e anticomunista.

Nel 1945 uno dei leader della Democrazia Cristiana in Sicilia, Bernardo Mattarella, padre di quel Piersanti che verrà ucciso dalla mafia nei primi anni '80, scrisse addirittura un articolo su “Il popolo”, giornale cattolico, in cui dava il benvenuto all'ingresso di don Calogero nelle file della DC.  

Negli allegati alla relazione della Commissione Antimafia si legge: «… Già verso la fine del 1944 Calogero Vizzini orientò le sue scelte politiche verso la Democrazia Cristiana. Questo partito, nelle sue sfere provinciali e regionali, ben comprese il grande apporto che alle fortune politiche dei dirigenti e del partito stesso poteva arrecare l'orientamento di Calogero Vizzini e perciò della mafia in generale, e non esitò ad accogliere i mafiosi nelle sue file. [...] A Villalba, praticamente, l'intera mafia entrò nella DC; a Vallelunga Lillo Malta passa alla DC con tutto il suo seguito: i Madonia, i Sinatra ecc.; anche il gruppo Cammarata passò alla DC. A Mussomeli Genco Russo e tutto il suo seguito si iscrissero alla DC assumendo la direzione della sezione».

Ergo: le mafie sono organiche allo Stato tricolore, anche se non riconosciute, ovviamente, con un decreto formale. Se l’Italia fosse una democrazia, uno Stato di diritto, se il popolo mostrasse la spina dorsale ed po’ d’orgoglio, questi prepotenti in divisa d’Oltreoceano che hanno inoculato il virus mafioso nel dna del Belpaese e protetto i clan, sarebbero stati già cacciati via dal un bel pezzo a pedate. 

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