Salvatore Misdea, Cesare Lombroso e il misdeismo
Salvatore Misdea, Cesare Lombroso e il misdeismo
Salvatore Misdea nacque a Girifalco nelle Serre Catanzaresi nel
1862, l’anno dopo l’unificazione del Regno d’Italia . Militare di
leva, il 25 gennaio 1883 fu destinato al 19° Fanteria “Brescia” a
Napoli, nella caserma di Pizzo Falcone. Qui il 13 aprile 1884, intorno
alle 20, scoppiò un alterco tra alcuni soldati calabresi e graduati di
altre regioni, in contrapposizione fra di loro per ragioni di orgoglio
di campanile e appartenenza regionale. Riportata parzialmente la calma,
durante la notte, in camerata, il Misdea, con il suo fucile iniziò a
fare fuoco. Fece in tempo a sparare una cinquantina di colpi prima di
essere immobilizzato. I soldati presenti nella camerata si diedero alla
fuga o si nascosero, ma per quelli che si trovarono sotto tiro non ci
fu scampo: 4 furono i morti e 7 i feriti. Misdea non sparò solo sui
soldati calabresi.
Di seguito la ricostruzione dei fatti da parte di Cesare Lombroso, che con Leonardo Bianchi redasse la perizia di parte:
“Era il 13 aprile, il 1° giorno di Pasqua, e i soldati del 19°, dopo
averlo salutato con liete libazioni continuavano in quella caserma alla
sera i discorsi della giornata. Alcuni appartenenti all’Alta Italia,
Codara, Storti e Zanoletti, bisticciavansi con due calabresi, Colistri e
Trovato, pretendendo che le sue fossero tutte terre arsicce. Un buon
caporale, Roncoroni, impose loro il silenzio e al Trovato ordinò di
tornare alla sua Compagnia.
Il soldato Misdea di Girifalco, di 22 anni che a 17 e 19 era già stato
condannato per ferimento, per porto d’armi, sospettato di furto, ed
infine ammonito, che s’era fatto notare e nel paese e nel reggimento per
insolita violenza e per minacce feroci, come di tagliar la gola, di non
voler adoperare i pugni ma l’arme, tanto che alcuni non volevano più
dormirgli vicino, ritornava in quella camerata, dopo parecchie
libazioni, dopo avere al suo solito, poco prima di entrare in caserma,
minacciato sguainando la sciabola un cocchiere, e colpitone invece un
compaesano (Iorio) che l’aveva generosamente poco prima ospitato.
Costui entrato in quel momento, chiesto al caporale Codara, con cui
aveva altercato pochi dì innanzi, perché litigassero n’ebbe una
risposta insultante «Che c’entri tu? se vuoi qualche cosa te la do io»
poi se la prende col Roncoroni per l’ordine impartito come d’un
oltraggio scagliato in viso a lui, calabrese, - Ecco, egli gridò con mal
piglio, perché è calabrese, lo mandate via.- e lo squassò per la
giubba.
Però, essendoglisi quella buona pasta di caporale offerto ad una sfida,
mostrandogli come non avesse le insegne del grado, egli non fiatò.
Poco dopo al soldato Codara che ne lo redarguiva, disse:
- Lasciami stare. Ho per capo certi brutti capricci, e non so come finirà!
- Ma tu l’hai sempre coi piemontesi e coi lombardi- che t’abbiamo fatto?
- Sì, rispondeva il Misdea, l’ho coi piemontesi. E qui gli
picchiò nel petto gridando: E guarda, così come ho fatto a te, sono
capace di dare soddisfazione ad uno ad uno, ché mi rido di tutti
voialtri!
Il Codara gli dié un ceffone ed egli fece per sguainare la sciabola, ma
ghermito per le braccia, non poté muoversi. Allora profferiva queste
parole:- Guarda Codara, che stanotte ti taglio la testa!- intanto il
caporale Morzillo gli infliggeva allora la prigione.
Il Codara, presago di quanto poteva avvenire, andò a riferirne al
sergente Cane, che, venuto là, rimproverò tutti, minacciandoli che se
continuavano avrebbe mandato tutti in cella, ma intanto la sua minaccia,
a parole, tolse la condanna effettiva e il Misdea, che aveva cominciato
ad allestirsi per la cella, smise subito, andò a bere e lo si sentì
borbottare rabbiosamente con un compagno:
- M’hanno dato uno schiaffo!
Tornò al suo letto, tirò fuori le cartucce sue e d’altri compagni.
Si fece silenzio. Codara, Zanoletti, Storti e Vincenzi si sdraiarono
un’altra volta sopra il letto d’un soldato e tornarono a parlare quando
s’ode un’esplosione. Zanoletti cade a terra ferito!
Tre erano a letto e furono feriti tutti e tre gravemente; altri tre
fuggirono cercando uno scampo nella latrina. Il Misdea li inseguì e,
contro la porta della latrina esplose altri colpi e ne feriva alcuni. La
strage non era finita. Il Misdea rincorreva i fuggitivi, molti dei
quali si gettavano a terra per evitare i colpi; altri li fece sfilare
fuori dal cesso e li colpì ad uno ad uno. Quando non ne vide più negli
stanzoni, s’affacciò ad una finestra e cominciò a sparare nel cortile,
ove erano soldati di linea e bersaglieri”.
Salvatore Misdea venne accusato di “insubordinazione con vie di fatto,
mediante omicidio consumato in persona di caporale, ed omicidio mancato
sulla persona di sottufficiali e caporali,commessa per motivi non
estranei alla milizia ed aggravata da omicidi consumati e mancati di
altri militari di grado uguale”.
Dopo circa un mese, presso il Tribunale Militare di Napoli, iniziò il
processo a suo carico che si concluse con la condanna a morte con
degradazione. La domanda di grazia fu respinta e fu fucilato alla
schiena a Bagnoli all’alba del 20 giugno 1884. Si racconta che affrontò
la morte con coraggio e dignità ed al soldato che si apprestava a
bendargli gli occhi prima dell’esecuzione, disse “Ora vedrai come muore
un calabrese” [1].
Alla sentenza di condanna a morte contribuì la perizia psichiatrica di
Lombroso che sostenne la tesi di una correlazione tra epilessia (quella
“psichica” di cui Misdea sarebbe stato sofferente) e devianza
criminale. La follia morale, l’epilessia, l’ereditarietà, la barbarie
del paese d’origine e della famiglia, i traumi e l’alcoolismo, sarebbero
stati erano alla base del comportamento criminoso. Nel processo,
Girifalco venne definita tana di briganti, vennero individuati parenti
e collaterali del Misdea malati di mente ed etilisti; vennero rimarcate
anche le tare ereditarie di un padre etilista e una madre isterica,
nonché la presenza a Girifalco del manicomio provinciale .
Il dibattito pubblico fu grande e a Lombroso si contrappose Edoardo Scarfoglio che pubblicò a puntate Il romanzo di Misdea
per controbattere alle tesi antimeridionaliste. Nel 1978 la Rai ha
trasmesso uno sceneggiato dal titolo “Il povero soldato” sulle tragiche
vicende di Napoli.
Da quella vicenda nel lessico della psichiatria militare italiana è
stato introdotto il termine “misdeismo”, a denotare i comportamenti
psicologici e le devianze causate dallo stress e dalle tensioni presenti
negli ambienti militari e dalla mancata assuefazione alla vita
militare.
Così Placido Consiglio, il più importante psichiatra militare del suo
tempo: “Come il fatto di Misdea diede al Lombroso la chiave per
intendere gli intimi rapporti fra pazzia, epilessia e follia morale
criminosa, ed al Bianchi e Penta per studiare la primitività psichica
di alcune categorie di delinquenti, così esso fu il punto di partenza di
lavori ed immagini innumerevoli per la constatazione della natura
morbosa di molti delinquenti militari gravi, aggruppati tutti nella
specifica categoria del misdeismo”[2].
Negli ultimi anni la vicenda di Salvatore Misdea è stata rivisitata e
riproposta come emblematica del pregiudizio anti-meridionalista dagli
studiosi neo-borbonici.
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