Le leggi razziali




 


Leggi razziali

Novecento




Il 1938 rappresenta per tutta la regione e per Trieste, in particolare – ben più che per altre aree italiane –  un anno cruciale, un momento di svolta, il primo minaccioso annuncio di pericolo: proprio per la sua vocazione di centro sensibilissimo alle vicende internazionali e danubiano - balcaniche, in modo particolare, la società locale entra immediatamente nell’occhio del ciclone.

L’ Anschluss è il primo brivido: la Germania al confine Nord - orientale mette inquietudine, anche se l’ammirazione per quel popolo “virile ed eroico” attraversa non solo i fogli di propaganda, ma anche le espressioni più riposte dell’opinione dei colti.

Per una regione in ansia, le gerarchie nazionali del regime mostrano un interesse tutto particolare. Contenere le inquietudini è il primo obiettivo. Il Duce arriva a Trieste il 18 settembre e si ferma nella Venezia Giulia, nel Friuli e nel Veneto fino al 26 dello stesso mese, prima di partire per l’incontro internazionale di Monaco. Pellegrinaggi ai luoghi sacri della patria (al monte S. Michele, al sacrario di Redipuglia, alle pendici del Carso, a Udine, capitale della guerra, ad Aquileia, terra degli antichi e dei nuovi eroi), per inaugurare i monumenti e ricordare i simboli di una storia che riafferma il suo corso glorioso, riassorbendo e reinventando il passato all’insegna del presente fascista. A Udine, nel ventennale della vittoria e proprio il 20 settembre, dopo sedici anni dall’ultima visita, Mussolini inaugura il Tempio Ossario, pensato per dar posto a cinquantamila salme dei caduti della Grande guerra: l’imponente monumentalità e “i fasti marziali del regime” sovrastano ogni cosa.

 Solo due giorni prima, a Trieste, Mussolini aveva pronunciato un discorso durissimo contro i nemici dell’Asse, ma è qui che promette di far pesare con determinazione il prestigio dell’Italia per risolvere una crisi che è locale solo in apparenza.. L’ambasciata sembra estendersi anche all’alleato tedesco. Con l’esercito nazista alle soglie di casa, con il porto di Trieste privato ormai totalmente del suo hinterland, sotto controllo nazista, e mentre nel piccolo anfratto nord-orientale della regione (similmente a quanto accade nell’Alto Adige) si profila una contrattazione lacerante intorno alla questione degli alloglotti di lingua tedesca, Mussolini sceglie il registro espressioni roboanti ed ambivalenti.

“Il fondatore dell’Impero” fa il suo bagno di folla: tra i 15.000 operai di Monfalcone, egli che è “duce tra le opere ciclopiche della potenza marinara”, poi sul Carso, tra “i fedeli della terra” e le sue “donne prolifiche” fino al confine presso Postumia, per un omaggio alla nazione divenuta improvvisamente “amica”, dopo il patto Ciano- Stojadinovic del 1937. “L’adorazione” del capo è ciò che pulsa dalle pagine della stampa locale, con un’enfasi retorica straordinaria.

L’affanno delle inaugurazioni prosegue a Trieste  senza soste: il teatro romano, da poco portato alla luce; la prima pietra per la Casa del fascio, la Casa del portuale, la prima pietra per “l’Università  completa” di cui finalmente, dopo tanti rinvii, Trieste si potrà fregiare. È di nuovo il ricorso ad un mito irredentista, quello dell’Università italiana a Trieste, ad imporsi attraverso canali di comunicazione ben noti. In quest’atmosfera da apoteosi Mussolini affronta pubblicamente di fronte alla platea triestina (per la prima ed unica volta in Italia) la questione razziale lanciando accuse fino al soglio pontificio.

L’uomo che veste i panni della pace nell’Europa in subbuglio, proclamandosi contemporaneamente a favore delle politiche plebiscitarie imposte dalla politica hitleriana, è colui che, da costruttore dell’Impero, legittima della politica razziale italiana che ormai comincia a darsi un corpo legislativo. “Una chiara e severa coscienza razziale […] che stabilisca delle superiorità nettissime deve puntare contro “l’ebraismo mondiale”, “nemico irreconciliabile del fascismo”. L’immagine del “dittatore benefico” rispunta subito dopo, quando Mussolini promette clemenza agli ebrei che abbiano meriti nei confronti dell’Italia e del regime.

La stampa tiene desta a lungo l’eco di una visita che è tutta giocata all’insegna della potenza imperiale italiana, al cui altare le glorie del passato si inchinano.

Agli inizi del 1939 s’inaugurano nel capoluogo giuliano i Littoriali della cultura e dell’arte: razza, autarchia, impero sono le tematiche centrali del dibattito svoltosi in tale occasione.

Ma il 1938 è anche l’anno terribile per gli ebrei d’Europa. La persecuzione antisemita e le leggi razziali si abbattono come un pesante maglio sulla società giuliana; a Trieste vive la comunità ebraica in assoluto la più consistente d’Italia. Gorizia, a sua volta conta un nucleo significativo di cittadini italiani di origine ebraica, circa 300, potendo vantare il pregio di un’antica tradizione nonché la vitalità ancora presente di un filone culturale assai ricco (da Graziadio Isaia Ascoli a Carlo Michelstaedter fino a Vittorio Bolaffio).

Nell’agosto del 1938, a persecuzione ormai avviata, il censimento della popolazione ebraica conta per Trieste 7.760 nomi, ben più delle 5.381 persone iscritte nel registro della Comunità il 13 agosto 1938. Il censimento è condotto con criteri estensivi ed alla fine il conteggio si ferma su 6336 nominativi. L’elaborazione dei dati per composizione sociale, basato sulle cifre raccolte dalla Comunità all’agosto 1938, mostra un universo molto variegato: un ceto medio di professionisti, impiegati, commercianti, piccoli e medi, e un gruppo di artigiani e addetti ai servizi di certo consistente (il 26% circa del totale), ma anche un numero proporzionalmente elevato di poveri, mentre il 4 per cento del totale, pari a circa 253 persone corrisponde agli strati più influenti della borghesia cittadina. L’alta percentuale dei giovani indica poi il dinamismo di una comunità molto importante che è dentro il tessuto connettivo del capoluogo giuliano. Ai margini scorrono, nel 1938, nel 1939, nel 1940, le migliaia di profughi che dall’Europa centrale e orientale e dalla Germania nazista scelgono il porto di Trieste per emigrare verso la Palestina e le Americhe. Un’ostilità crescente, già a partire dall’aprile del 1938, crea nuove sofferenze e ostacoli a queste donne e uomini che cercano una via di fuga dalle persecuzioni. L’Italia si appresta a cancellare la sua immagine di “rifugio precario” per gli ebrei d’Europa. Trieste, per parte sua può contare un folto nucleo di ebrei stranieri, tra i primi colpiti dalla legislazione fascista, anche in conseguenza della difficile definizione del nodo-cittadinanza già posto alla fine della grande guerra: molti minorenni, ad esempio, che alla data dell’opzione di cittadinanza non erano ancora autorizzati a scegliere, diventano apolidi. Al di là delle possibili fughe o del (difficile) rilascio di visti per l’espatrio, sono i campi di concentramento fascista, sparsi in tutt’Italia, ad attenderli nel giro di poco tempo.

Dalla città vengono sradicati coloro che da secoli erano stati parte della sua cultura, delle sue attività economiche, dei suoi ceti dirigenti, del suo popolo. Ciò che colpisce forse di più nella tragica vicenda è il clima che sembra avvolgere d’improvviso tutto il mondo locale: segnali di un atteggiamento di fastidio verso gli ebrei, spesso a capo delle più importanti imprese locali, spesso professionisti di fama, erano già comparsi in precedenza.

Enrico Paolo Salem, ad esempio. Personalità che gode di alta stima, finanziere di rango, tra i fondatori della Società che rimette in piedi il quotidiano “Il Piccolo” dopo la guerra, nazionalista ed iscritto al PNF dal 1921, protagonista dell’importante mediazione tra ambienti nazionalisti e fascisti e tra il mondo dell’imprenditoria giuliana e il fascismo, è oggetto di attenta segnalazione da parte del prefetto Tiengo al momento della sua designazione a podestà: figlio di padre israelita e di madre cattolica, ma – sottolinea sempre il prefetto - egli “è cattolico e cattolici sono i suoi figli”. Sono precisazioni apparentemente innocue nel 1933; servono tuttavia a capire l’esistenza di alcuni percorsi carsici di un antisemitismo che, al momento, si limita ad indicare l’esistenza dei diversi, o in altri casi, svela il livore contro una condizione sociale di privilegio di un gruppo dirigente, ripescando nel pozzo profondo degli stereotipi antigiudaici ed antisemiti, sempre pronti a ricomparire in scena. Salem, nominato podestà nel 1933 e destinato a ricoprire a lungo quella carica aveva agito con successo nel salvataggio di istituti di credito locali, messi a repentaglio dalla grande crisi del 1929 ed era diventato, subito dopo, la figura –simbolo di una Trieste che cerca di uscire dalla crisi. Alla festa del duce, nel settembre 1938, Salem, tuttavia non c’è. È, infatti, allontanato già nell’agosto 1938, mentre si prepara il censimento per la schedatura degli ebrei: la sua sostituzione avviene quasi tacitamente.

Dal gennaio 1938 la campagna stampa contro gli ebrei di Trieste comincia, del resto, a gonfiarsi prepotentemente per l’intervento di Roberto Farinacci e Giuseppe Preziosi che attaccano con violenza su “La Vita Italiana” e “Il Regime Fascista”, le posizioni  del direttore del quotidiano locale “Il Piccolo”, Rino Alessi, costretto ad una difficile difesa del “carattere italiano”, quindi moderato e quindi “civile” del “razzismo” fascista: di lì a poco tutto precipita nella rincorsa tra polemiche, disposizioni nazionali e risposte locali sempre più disponibili ad un impegno forte nell’opera di persuasione dell’opinione pubblica ad accogliere il veleno dell’antisemitismo. Lo stesso Emilio Grazioli, da poco alla guida della federazione provinciale del PNF, denuncia un’atmosfera tremenda.

La supina accettazione delle disposizioni razziali si realizza presto, ma è soprattutto la rincorsa alla denuncia anonima, è lo zelo dei funzionari intenti a scovare le origini ebraiche di ogni dipendente, è la frantumazione evidente di rapporti privati e pubblici tra le persone, a portare alla luce il volto deturpato della città. Non sono molti gli anticonformisti. “Inquinamento dell’anima”: è questa la definizione di Elio Apih, che, meglio di ogni altra, svela l’accaduto.

Nel mondo delle professioni, si nota immediatamente l’impaziente scalata di tanti presunti esclusi. Informatissimi impiegati di rango cominciano a stilare lunghe liste relative alla presenza ebraica a Trieste, già nel 1937: liste che di lì a poco entrano nella campagna antisemita nazionale. Insospettabili figure diventano accaniti persecutori: nel novembre del 1938 un articolo dell’avvocato Ettore Martinoli, pubblicato su “Il Piccolo” denuncia l’assalto “giudaico alla classe forense triestina”. In poco tempo quell’oscuro avvocato diventerà uomo di punta all’interno della federazione del PNF provinciale, costruendo la sua rampante carriera nei meandri delle opportunità offerte dalla persecuzione razziale: sarà nominato nel giugno del 1942 rettore del Centro per lo studio del problema ebraico (tra i primi istituiti in Italia), vero punto di forza della futura persecuzione antiebraica nazista.

La pavidità dei più, un pregiudizio antigiudaico/antisemita sedimentato al fondo delle coscienze, la brama di occupare i posti di lavoro ed i prestigiosi impieghi ricoperti da alcuni cittadini di origine ebraica ora messi al bando, non bastano a spiegare fino in fondo un guasto così grande: è, in verità, una società già allenata alle barriere ed alle esclusioni quella che accoglie il nuovo diktat del regime. Come paragonare, inoltre, il razzismo antisemita a quello antislavo? Non si può non vederne l’intreccio sebbene le barriere dell’esclusione siano costruite con modalità e in tempi diversi: la fonte da cui scorgano è la radicalità del tema della razza che ha, nell’Europa del tempo, molte capacità espressive. Trionfano i linguaggi dell’odio che rimettono in moto antichi paradigmi ampiamente condivisi nell’Europa cristiana; diventa pervasiva la gestione sprezzante delle minoranze, rifiutate grazie all’identificazione “razza/Stato nazionale”, secondo uno schema scaturito alla fine della Grande guerra e, nel frattempo, il razzismo coloniale riporta in patria uomini, idee e metodi repressivi.

In un corpo sociale segnato dalle diversità che si trasformano in lacerazioni e paure, la scommessa totalitaria del regime può giocare tutte le sue carte. L’immagine del nemico, incarnazione dell’Antistato e dell’Antinazione, è un’immagine ripetuta (a tinte forti o anche solo evocata) per definire i confini della comunità dei “fedeli”. Il fascismo rinforza la coesione totalitaria della maggioranza.

Bisogna per altro aggiungere un’altra precisazione: se dalla fine dell’Ottocento gli ebrei erano prevalentemente sentiti come parte integrante della stessa società locale e dello stesso mondo culturale, politico ed economico, soprattutto per quello che riguardava le selezionate schiere del multiforme ceto borghese, allontanarli significa mettere in moto un meccanismo ancor più delicato e inquietante. Non erano gli “slavi barbari”, né “i mestatori” venuti da fuori, né gli “allogeni”, né i popoli “senza storia” verso i quali il distacco poteva essere giocato con maggior disinvoltura.

Dalle scuole statali sono intanto esclusi circa 500 alunni (su un totale di 44.000 per l’intera provincia) ed una cinquantina d’insegnanti: il provveditore agli studi trasmette direttamente al federale Emilio Grazioli i dati raccolti. Dall’Università escono quattro docenti di ruolo su tredici, tre liberi docenti su quindici e due assistenti volontari su sedici, mentre due insegnanti, Fabio Cusin, libero docente di storia medioevale e Pier Paolo Luzzatto Fegiz, ordinario di statistica, nati entrambi da matrimoni misti sono costretti a dimostrare a più riprese la veridicità di quanto affermano ed a cercarsi convincenti patenti di cattolicità. La ricerca affannosa e umiliante di tutte le possibili vie d’uscita da proscrizioni che non appaiono eludibili è incisa anche nelle lunghe enumerazioni delle “benemerenze fasciste” che alcuni allegano alla scheda del censimento: nomi di prestigio se ne vanno (Angelo Segrè, ad esempio, Renzo Fubini, Ettore del Vecchio). Tra i docenti va certo ricordata la figura di Mario Pugliese che esce di scena con uno straordinario gesto di coraggio: il 10 settembre acclude alla scheda del censimento una lettera al rettore in cui, dopo aver dichiarato di professare la fede cattolica “da molto prima della politica nazista”, afferma: “I miei genitori sono entrambi di origine ebraica e non me ne vergogno”. Con questo congedo, subito dopo, egli sceglierà la strada dell’emigrazione in Argentina, dove più tardi morirà suicida.

Non è noto il numero esatto degli universitari costretti, nonostante la possibilità teorica di terminare gli studi, ad uscire dall’Ateneo proprio in seguito alla violenta campagna antisemita del GUF; pare siano stati subito allontanati, invece, circa 20 ebrei stranieri (su un totale di 536 studenti iscritti) che avevano cercato rifugio in Italia dalle persecuzioni in atto in tutto il Centro Europa. All’interno del GUF viene fondata una sezione razzista che pubblica il foglio “Razzismo fascista” e subito dopo il periodico “Decima Regio”, che esce a partire dal dicembre del 1941, in un clima politico ancora più acceso. L’odio razziale gridato dal foglio, insieme alle anonime minacce ad personam, si mescolano ad un’astiosa propaganda di “purificazione” agitata contro il ripiegamento burocratico del fascismo degli ultimi anni. A questi giovani volonterosi propagandisti, il Centro per lo studio del problema ebraico affida compiti delicati nell’ambito della politica antisemita, in stretto contatto con il Consolato germanico di Trieste, osservatorio delle capacità repressive antiebraiche, messe in campo dal regime nell’area giuliana. Il giro di vite nel mondo della cultura si fa evidente. È di certo significativo che uno dei più duri discorsi antisemiti (in rapporto a quanto stava accadendo in altre e più importanti Università italiane) venga pubblicato sulle pagine degli Annuari dell’Università di Trieste dove il rettore Manlio Udina, con la relazione inaugurale dell’anno accademico 1938/’39 esalta la “preveggente” politica del duce contro “l’invadenza fisica e spirituale di una stirpe […] da noi troppo diversa”. Il concetto dell’invadenza “ebraica”, da cui la città si sente contaminata.

La storiografia ha ben indagato tutti gli anfratti di questo sconquasso: gli atteggiamenti della popolazione maggioritaria indubbiamente rivelano anche tratti di disgusto e forme di solidarietà: famiglie che soccorrono; singoli magistrati che applicano la legge nel modo meno restrittivo possibile, in relazione, ad esempio, alla disciplina riguardante l’esercizio delle libere professioni da parte dei cittadini ebrei; parroci cattolici, pastori evangelici e valdesi che accettano le molte conversioni; figure esemplari di consoli che sono costretti a dimettersi, dopo aver aiutato gli ebrei in fuga; impiegati dell’anagrafe che cercano forme di elusione. Spariscono figure di vitale importanza di tutte le libere professioni: Il quotidiano locale “il Piccolo”, enumera puntigliosamente i dati sull’epurazione, sollecitato da un accanito Giovanni Preziosi che evoca una sempre maggiore radicalità. Sono espulsi uomini di grande prestigio, ai vertici delle più importanti società di assicurazione: Guido Segre, l’uomo dai mille importanti incarichi è tra essi; e poi Teodoro Mayer, presidente dell’IMI e presidente della Società editrice de “Il Piccolo”; Angelo Fano, fascista della prima ora e presidente dell’Istituto fascista case popolari; Camillo Ara, Salvatore Segrè Sartorio, Arnoldo Frigessy de Rattalma a capo della RAS; Edgardo Morpurgo, a capo delle Assicurazioni generali, il poeta Umberto Saba. Molti – e il timore di un terremoto economico per Trieste (e non solo) non è di secondaria importanza nelle scelte delle autorità ministeriali - sono riusciti ad ottenere il beneficio della discriminazione per alte benemerenze patriottiche; tutti sono comunque ridotti a cittadini di scarto, sempre additati dalla propaganda antisemita, umiliati da procedure di vergognosa sottomissione alle gerarchie del regime da cui erano stati così altamente beneficati fino al 1938.

 Mille storie si intrecciano; anche storie di arricchimenti e di inattese fortune, come ad esempio l’immediato passaggio di proprietà, già nel novembre del 1938, della Società editrice de “Il Piccolo” da Teodoro Mayer al direttore, Rino Alessi. Certo, nelle Compagnie di Assicurazione, Ras e Generali, le ragioni dell’impresa sono forti: Fulvio Suvich, nuovo presidente della RAS e Giuseppe Volpi, nuovo presidente delle Generali sembrano essenzialmente figure che pongono al riparo le Compagnie da rivolgimenti ancora più radicali, in attesa degli eventi.

Vi sono poi i mille dolorosi aspetti della vita quotidiana, prima che la persecuzione diventi negazione della vita stessa. In base alle disposizioni di legge, 196 ebrei titolari di aziende devono autodenunciarsi, essendo così spogliati della loro attività. Resta lo sconcerto per le assenze di quei medici, medici pediatri soprattutto, che avevano speso i loro anni per l’assistenza all’infanzia abbandonata, alle famiglie povere, alle madri indigenti: Paolo Israeli, tra loro, e Alfredo Brunner conosciuti dall’intera cittadinanza.

Garofani rossi vengono deposti da Bruno Pincherle, pediatra ebreo, antifascista e giovane uomo coltissimo, al posto del busto di Italo Svevo (Ettore Schmitz) che nel settembre 1939 era stata rimosso da “ignoti” in spregio al grande scrittore di origine ebraica.

Quando nel 1941 Giani Stuparich pubblica il romanzo, Ritorneranno, in cui l’ardore dell’irredentismo democratico è sopraffatto da un sentimento ben più acuto dello strazio che la nuova guerra sta provocando, si usa contro l’autore lo strumento dell’odio razziale, per mettere a tacere le inquiete risonanze di una figura/simbolo di quel glorioso passato.

Sono questi i momenti in cui anche il volto sgangherato e violento del regime si riaffaccia con forza: comincia a emergere la nuova guardia dei giovani del GUF a capo della segreteria, ma a Trieste, rispunta la figura di Emilio Grazioli in qualità di federale.

Nominato federale nel 1936, proprio nell’era di Starace e nella fase di progressiva militarizzazione dell’apparato del regime, Grazioli inevitabilmente suscita speranze anche nella vecchia anima squadrista, nei militanti più attivi, nei molti membri della milizia che, dopo l’avventura africana, rivendicavano nuovi spazi e nuova visibilità. Accanto a lui nel giro di pochissimo tempo, ricompare Francesco Giunta, questa volta come garante del radicalismo antisemita del fascismo e come esponente affidabile del patto d’alleanza italo -  tedesca. Pare sia Farinacci, con l’aiuto di Preziosi, l’animatore di un nuovo nucleo di potere che si coagula intorno a Giunta sulla scia di un pronunciato filo nazismo. Si predispone così la punta d’attacco di un partito, che è segnato da nuove divisioni e che saprà scatenare la forza di un neosquadrismo in rapida crescita, guardato con diffidenza dalla Questura fino al 1941, ma poi dopo lasciato attecchire in città, dove sciama con numerosi atti di violenza a ridosso dell’attacco alla Jugoslavia. Ripetuti sono i vandalismi contro singole persone e istituzioni ebraiche e contro la Sinagoga di Trieste, fino all’assalto e la devastazione della stessa nel luglio del 1942. Lo squadrismo sembra di nuovo arbitro della città, di fronte alle stesse autorità dello Stato fascista giudicate deboli e impotenti. Nel maggio del 1943, a Trieste, una nuova violenta messa in scena: i funerali di sei militi fascisti morti per mano partigiana finiscono con l’erompere di circa 120 squadristi (alcuni di lunga carriera) contro negozi di ebrei, di sloveni e croati, con furibondi saccheggi e distruzioni, sollecitando, nella folla accorsa, comportamenti delinquenziali. Una sgangherata e pericolosissima follia, a poca distanza di tempo dai rastrellamenti e dalle deportazioni guidate dai nazisti, cui si accodano i solerti neofascisti di Salò.

 

Bibliografia essenziale

Bon S., Gli ebrei a Trieste, Gorizia, LEG, Gorizia 2000.

Catalan T., La comunità ebraica di Trieste (1781-1914). Politica, società e cultura, Lint, Trieste  2008.

Sarfatti M., Gli ebrei nell’Italia fascista, Einaudi, Torino 2000.

Vinci A. (a cura di), Trieste in Guerra. Gli anni 1938-1943, IRSML, Trieste 1992.

 (Anna Vinci)

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