La normalità nel male:le mogli dei gerarchi di Hitler
Tra le migliaia di testi sul nazismo, pochissimi si concentrano sulle mogli delle figure di spicco del regime hitleriano: Gerda Bormann, Magda Goebbels, Carin ed Emmy Göring, Ilse Hess, Lina Heydrich e Margarete Himmler. Gli uomini che portano questi cognomi hanno lasciato un’impronta indelebile nella nostra memoria collettiva, ma le donne che furono fondamentali per sostenerli, incoraggiarli e indirizzarli sono perlopiù rimaste relegate alle note a piè di pagina della Storia. Negli anni ottanta del secolo scorso il ruolo delle donne durante il nazismo è stato oggetto di studi approfonditi, che hanno esplorato un territorio fino a quel momento poco indagato e fornito un’immagine complessa e sfaccettata tale da mettere in discussione gli stereotipi perpetrati dalla propaganda nazista; ma proprio delle donne che furono al vertice di quel sistema, invece, nessuno ha parlato a dovere. Il motivo è in parte da imputare alle fonti, la maggioranza delle quali vanno trattate con cautela. Sebbene negli ultimi decenni siano emerse molte più informazioni, nei diari e nelle lettere che ci sono pervenuti esistono ancora vuoti temporali e lacune considerevoli, mentre le numerose autobiografie scritte nel dopoguerra dalle compagne dei nazisti si sforzavano di dipingere le autrici come spettatrici innocenti, e i loro mariti come modelli di virtù; le autobiografie e le memorie di altri protagonisti di quella stagione – scritte ciascuna con uno scopo ben preciso – hanno creato una camera d’eco di aneddoti, dicerie e pettegolezzi che complicano il tentativo di distinguere tra realtà e finzione.Tuttavia, si tratta di problemi comuni a qualsiasi indagine storiografica e non sufficienti a spiegare perché gli storici abbiano rinunciato a riconoscere a queste donne l’importanza che meritano. Oltretutto, con il loro atteggiamento gli studiosi hanno finito per avallare la versione delle mogli su certi aspetti delle biografie dei mariti, a cominciare da una netta separazione tra vita pubblica e vita privata. Tutto questo, invece, non regge a un esame minuzioso. I nazisti miravano a controllare ogni aspetto dell’esistenza dei loro cittadini –che cosa mangiavano, come si vestivano, con chi andavano a letto, che battute facevano, in che modo festeggiavano il Natale – così da rendere insignificante ogni separazione tra pubblico e privato. E a dispetto del loro indiscutibile privilegio, le mogli dei capi erano sottoposte alle stesse pressioni delle donne normali. La loro vita sociale era influenzata dalle considerazioni politiche, in nome delle quali dovevano rinunciare alle amicizie o interrompere bruscamente rapporti di tutti i tipi, anche quelli familiari. La loro condotta fu un fattore essenziale nelle lotte interne all’élite nazista, in particolare se coinvolgevano Hitler; non godere più del favore del Führer poteva avere gravi implicazioni per la carriera dei loro consorti. Anche ammettendo che non fossero al corrente delle decisioni prese ogni giorno dai mariti, erano circondate dalle prove delle loro azioni criminali: opere d’arte depredate affisse alle pareti; arredi fatti di pelle e ossa umane nascosti in soffitta; frutta e verdura colte negli orti dei campi di concentramento locali; manodopera schiavizzata che coltivava la loro terra.rituali della vita familiare – nascite, matrimoni, funerali – erano indissolubilmente legati all’ideologia nazista. Forse giudicare queste donne con superficialità e considerarle personaggi minori è stato inevitabile; prenderle sul serio significa accettare che i loro mariti si cimentassero anche in attività normali e provassero riconoscibili emozioni umane. Innamorarsi, disamorarsi. Preoccuparsi delle spese, della dieta e di dove mandare i figli a scuola. Organizzare cene e picnic. Trascorrere le vacanze da turisti. Riconoscere che sotto molti aspetti non erano persone diverse da noi crea una forma di dissonanza cognitiva: un senso di profondo disagio
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